Batterista jazz di chiara estrazione post-bop, fra i più interessanti della sua generazione in Italia, Marcello Nisi brilla per un drumming complesso e articolato, incentrato su poliritmia, polimetria e costante spostamento degli accenti volto a creare una sorprendente tensione ritmica. Nell’arco della sua brillante carriera condivide il palco al fianco di numerosi jazzisti blasonati in ambito nazionale e internazionale, fra cui Antonio Faraò, Sonny Fortune, Chico Freeman, Benny Golson, Bobby Watson, Joe Magnarelli, Greg Burk, Robert Bonisolo, Miroslav Vitous, Bob Franceschini, Paolo Fresu, Flavio Boltro, Jed Levy, Mark Sherman, Eric Wyatt, Frank Lacy, Ron Seguin, Philip Catherine, Marco Tamburini, Javier Girotto, Hadrien Feraud, Marco Vaggi, Henry Cook, Martin Gjakonovski, Luigi Di Nunzio, Dario Chiazzolino, Pierluigi Balducci, solo per citarne alcuni. Grazie al suo talento si esibisce anche fuori dai confini nazionali in Paesi come: Germania, Svizzera, Russia, Montenegro, Belgio, Galles, Albania. Attualmente docente di “Batteria Jazz” al conservatorio “Vincenzo Bellini” di Catania, è fresco di stampa, edito da Notami Jazz, il suo primo libro didattico intitolato “…Spunta Il… “Solo”, un testo frutto di anni dedicati allo studio e all’insegnamento della batteria.

 

“…Spunta… Il Solo”, con un divertente gioco di parole, è il titolo del tuo primo libro didattico principalmente dedicato alla batteria jazz, edito da Notami Jazz. Quando e perché hai avvertito l’esigenza di scrivere questo testo?

In realtà, nel mio caso, non parlerei dell’esigenza di scrivere un libro, quanto invece della voglia di dare corpo ad appunti, scritti e non, di anni di studio e insegnamento. Le domande che ponevo, che mi ponevo e che a me venivano poste, sono state – a un certo punto – la molla che ha fatto scattare in me il desiderio di dare una forma scritta a tante risposte da me ricevute e da me date. D’altronde, poi, i libri (come i dischi e la stessa didattica) rappresentano uno step concreto di un percorso di esperienza, in questo caso in ambito musicale. Maturano quando è il momento giusto.

Leggendo il tuo libro, emerge un interessante parallelismo fra leggendari antesignani della batteria jazz del calibro di Max Roach, Art Blakey, Elvin Jones, Philly Joe Jones, Roy Haynes e Tony Williams, per poi menzionare straordinari batteristi della scena attuale come Eric Harland, Bill Stewart, Brian Blade, Jeff “Tain” Watts, Justin Faulkner e Mark Guiliana. Dal tuo punto di vista, specificamente nella costruzione di un “solo” di batteria, qual è il segreto per coniugare brillantemente la tradizione batteristica a un approccio più moderno?

Ritengo che lo studio della tradizione e dei capiscuola attorno ai quali ruota la stessa tradizione sia di fondamentale importanza nell’acquisizione di un lessico appropriato. Non esiste grande batterista moderno che non abbia sviluppato il proprio linguaggio partendo proprio dallo studio della tradizione e dei suoi maestri più rappresentativi. Il linguaggio è indubbiamente mutato, ma conserva dei profondi legami con il periodo precedente che soltanto orecchie insensibili non potrebbero cogliere all’ascolto. Non credo ci sia un segreto, piuttosto una consapevolezza conoscitiva che possa poi guidare verso un gusto più moderno.

In base alla tua esperienza di batterista e docente di batteria jazz, è indispensabile raggiungere un livello tecnico eccellente per costruire un “solo” di pregevole fattura?

Penso che la tecnica sia un mezzo indispensabile e utile nell’approccio “fisico” verso qualsiasi strumento. Permette di approcciarlo nel modo più naturale e fluido. Non possederne limita la fluidità e la capacità pratica di rendere organiche le proprie idee, ma nulla avrebbe senso se mancassero appunto le idee. La tecnica aiuta, ma non può sopperire alla mancanza di idee. La ricetta giusta per me è: idee musicali in primis, supportate nella loro articolazione dalla maestria tecnica. Ma mai invertire i ruoli! Il risultato sarebbe ottenere un drumming scoppiettante ma ripetitivo.

Ad oggi, secondo i tuoi gusti, chi sono i batteristi attualmente attivi sulla scena jazzistica mondiale che meglio sintetizzano i concetti che hai spiegato nel tuo testo?

Le radici dei concetti spiegati nel libro risiedono, in modo significativo, già in un periodo storico caratterizzato da grande fermento e innovazione nel jazz drumming. Mi riferisco agli anni Sessanta, con tre figure che hanno fortemente “deviato” appunto il drumming: Elvin Jones, Roy Haynes, Tony Williams (soprattutto), oltre a Jack DeJohnette e Paul Motian. Invece, tra i batteristi attualmente attivi, citerei Justin Faulkner, Eric Harland, Bill Stewart, Johnathan Blake, Ari Hoenig, Marcus Gilmore e Kyle Poole.

Stando a ciò che hai scritto nel tuo libro, ritieni che possa rappresentare uno stimolo importante per i batteristi jazz della nuova generazione?

Questo francamente non lo so. Però ritengo essenziale mantenere sempre vivo il fuoco e il desiderio di conoscere, andare oltre, ponendosi domande e non dando mai nulla per scontato. Infatti, ciò che tendo a sollecitare è la curiosità, la ricerca, lo studio non finalizzato al solo e mero movimento meccanico, ma inteso appunto proprio come ricerca. Mi piace sempre dire che posti dei requisiti di base, ciò che fa la differenza è la concezione. Ecco: studiare per acquisire una profonda conoscenza che sia la base di una profonda ricerca.

Soffermandosi sulla promozione di “…Spunta… Il Solo”, stai organizzando delle date di presentazione?

Sinceramente, almeno per il momento, non ho ancora pensato a questo ulteriore step, ma mi gratifica molto l’interesse che sta suscitando (anche nei colleghi non batteristi). Comunque, quanto prima, mi attiverò per presentare il mio libro.