Direi che un disco come “ItaliòPolis” si gioca carte anacronistiche, non solo vintage come sfacciatamente espresso dentro gli arrangiamenti capitanati da suoni artigiani e analogici, in primis dal Wurlitzer che sempre più spesso iniziamo a rivedere dentro i nuovi dischi della scena indie italiana. Ma qui Eugenio Balzani sforna un lavoro ricamato a dovere, pregiato nelle liriche ma anche nelle costruzioni melodiche andando assai distante da quelle forme facili di ritornelli e gusti popolari. Eppure, questo mi suona tanto come un disco assai popolare, anzi popolaresco, francese e un poco americano anche…

 

 

Io partirei dal Wurlitzer… un oggetto ormai per palati finissimi. L’hai usato perché lo volevi o perché l’hai trovato per caso?
Il Wurlitzer lo volevo fortemente, così ho scambiato, lacrime agli occhi, una Gibson 330 del 1966, per averlo. Non sono pentito di averlo fatto anzi è stata la ciliegina sulla torta, adesso però sto lavorando ad un suono di chitarre e quindi è in vista una ri-permuta.

 

Parlaci di questo suono vintage, magari da vinile… con la Recover Band come avete pensato al design sonoro del disco?

In effetti, il nostro riferimento veniva dal suono di gruppi fine anni 70′ e dai loro vinili. La presenza di questo mondo di fiati come sottofondo, che si muovevano liberi e un po’ anarchici, ricuciti dal Wurlitzer con la sezione ritmica.

 

E dal vivo che vita ha vissuto “ItaliòPolis”? Il Wurlitzer c’era… o l’avete sostituito con altro?

Il live di “ItaliòPolis” è molto fedele al disco, tranne un paio di pezzi per l’aggiunta di parti strumentali più lunghe per dargli un più di aria. Il Wurlitzer, per età e delicatezza e valore, è stato sostituito da un suono campionato.

 

L’elettronica del futuro in qualche modo contamina, ha contaminato il tuo suono? Pensi che sia un bene o un male la facilità con cui arrivare a certi risultati?

Ho fatto in passato un disco IOX DIO X 3,14, in cui ho fatto largo uso dell’elettronica che mi piace e che intendo usare ancora se mi sarà possibile. È un mondo affascinante che mi ha sempre interessato a patto che le idee fossero sempre al primo posto. La tecnologia al servizio delle idee e non il contrario.

 

C’è tanta aria circense dentro il disco. Forse anche un modo francese di pensarlo. Da che parte del mondo viene la tua musica? E da che tempo…?

Le musiche di Nino Rota per il “Circo” di Federico Fellini sono un riferimento importante, così come le melodie di “Amarcord”, e lo sono altrettanto le canzoni e musiche degli chansonnier. È un mix di folle nostalgia, nella quale mi sento di vivere anch’io qualche volta.