PATRICIA BRENNAN  | More Touch

0
688

PATRICIA BRENNAN
More Touch
Pyroclastic records
2022

Si è rilevata una certa unanimità nel conferire il recente podio del solismo a lamine a Patricia Brennan, strumentista nativa da Veracruz ma installata sulla scena newyorkese, decisamente affermatasi con il corposo album solistico “Maquishti”, campionario d’azzardo creativo e fluviale musicalità, che si può ritenere funga (anche) da bacino introduttivo per il presente e di poco successivo “More Touch”, concepito ed articolato in una dinamica quanto funzionale formula-quartetto.

Questa sembra espandere ulteriormente il potenziale comunicativo dell’autrice e performer nordamericana, che qui investe in più complesse formule coloristiche e dinamiche, cui peraltro si dimostra funzionale la line-up selezionata, cosicché erompe senza preamboli e con nitide cifre la sequenza del nuovo album: ben intessuto portamento ritmico e fluide linee figurative per lo strumento solista, che in parte incarna il tridente percussivo di una formazione assai impreziosita dalle poliritmie afro-latine e da un drum-set d’elastica versatilità, completata da una strutturata sezione a corde basse; e per quanto non immediati i richiami, l’introduttivo Unquiet respect rimarca, secondo le note della titolare, della natura inquieta e al contempo festosa della propria città natale, fungendo peraltro da efficace saggio generale della musicalità che, con alterne soluzioni, viene dispensata nell’arco della sequenza.

Passo decisamente più felpato e circospetto nell’eponima More Touch, assai meno segnata dagli apporti percussivi e che molto libera dei tratti sonori da effettismo elettronico applicato allo strumento della titolare, governato da pedaliera per chitarra, ma si fuga il dubbio che la risultante acustica sia effimera o gratuita, conferendo piuttosto maggior libertà immaginativa al soundscape complessivo, e particolarmente di un passaggio che guadagna intensa strutturazione dopo un preludio di natura onirica, se non francamente psichedelica. Costruzione all’incirca analoga nella successiva Space for Hour, e ulteriormente destrutturata nell’intimistica The Woman who weeps, le cui timbriche acquee attingono esito scultoreo, nell’intento poetico di tratteggiare una femminea dimensione emozionale.

S’avvia un gioco di vortici, tonico e virulento, nella vivida Square Bimagic: improntata all’analogo assunto matematico, è stilisticamente ispirata alle formule ‘son’ e ‘montuno’ della musicalità cubana; un gioco ancora vorticoso, ma di differenti fattezze e respiro, si ripropone più avanti negli eleganti e sfuggenti moti ondosi di Convergences, le cui suggestioni si traggono dalle zone di convergenza degli oceani, ricorrendo a “due principali cicli ritmici fluidi, e in cui gli elementi armonici ispirano il mistero, le oscurità e le incertezze incarnate dall’oceano”.

Alla base del flottante astrattismo in Syzygy ritroviamo l’omonimo concetto astrologico, ossia l’allineamento di tre o più corpi celesti, e ogni sezione del brano sottende tre livelli ritmici che si completano tra loro e nel cui sviluppo si profilano, spontanee e quasi magiche, sottili linee melodiche a vivacizzare la già mercuriale circolazione sonora. La sequenza ha esito in And there was Light, il cui nucleo è sostenuto dai tamburi Batá, “riferimento al Padre Cielo, creatore della vita umana; l’essenza rappresenta la fine del nostro viaggio, e questa fine dà inizio al prossimo…”

Dunque si coglie un importante senso della circolarità tra i fondativi principi del programma, come del resto intrinsecamente reso dalla presente musicalità, incarnata con convincente efficacia da un combo che non lèsina sul piano dell’interventismo; vibrante e a tratti eruttivo il tappeto afro-latino di pelli percosse da Mauricio Herrera, non facenti strettamente il paio con la batteria di Marcus Gilmore, piuttosto orientata a contrappuntare ed incrociare dinamicamente le figurazioni delle lamine di Brennan, animatrice ritmica ma anche ispiratrice idiomatica, entro una composita e stratificata glossa completata dalla carnosa punteggiatura del discorsivo contrabbasso di Kim Cass.

Riesce insomma vincente la formula esperita da Patricia Brennan nel cimentare tratti dell’arcana cultura del proprio paese, del patrimonio formale del meridione del continente con istanze trasversali del jazz contemporaneo, articolando una personale sintesi che s’abbevera di memorie personali e riferimenti teoretici, formulando un ‘melting’ colto ed argomentato, improntato a catartica libertà figurativa.

Musicisti:

Patricia Brennan, vibrafono con elettroniche, marimba
Marcus Gilmore, batteria
Kim Cass, contrabbasso
Mauricio Herrera, percussioni

Tracklist:

01. Unquiet Respect
02. More Touch
03. Space For Hour
04. El Nahualli (The Shadow Soul)
05. The Woman who weeps
06. Square Bimagic
07. Convergences
08. Robbin
09. Sizigia (Syzygy)
10. And there was Light

Link:

Patricia Brennan