“Time” è il nuovo singolo de Il Grigio qui con noi con una intervista in esclusiva

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Time” è il nuovo singolo de Il Grigio, con cui l’artista bergamasco prosegue il viaggio all’interno del suo primo album “La città che dorme sempre” in uscita questa primavera. Il brano è sui principali stores digitali e dal 23 febbraio nelle radio in promozione nazionale. Dopo aver sperimentato su sonorità urban con “Soldi nelle tasche” e aver mostrato la sua anima più cantautorale in “Molinari”, con “TimeIl Grigio assume delle sfumature molto più elettroniche. Con una produzione curata dallo stesso artista, “Time” strizza l’occhio sia agli amanti del conscious rap sia alla scena dell’indie-pop più elettronico.

 

Potrebbe sembrare una domanda banale e magari lo è: “Dove sta andando la musica? E dove sta andando la tua di musica?

Beh, è una domanda talmente ampia e abbraccia talmente tante dinamiche – che vanno anche al di là della musica – che non la definirei banale; semmai, quello che potrebbe risultare banale è la mia risposta.  Il mio punto di vista è quello di un artista indipendente e di ascoltatore abbastanza assiduo di musica che vede nei servizi di streaming, nei social network e nello sviluppo tecnologico tre dei principali fattori di cambiamento della società e del modo di ascoltare (e fare) musica.

 

I servizi di streaming ci permettono di usufruire della musica in maniera totalmente diversa: oggi abbiamo accesso a un catalogo potenzialmente infinito, e questa è sia una grande risorsa sia un pericolo per l’ascoltatore. Se io domani volessi approfondire un genere o un artista che non ho mai considerato, lo potrei fare con un semplice tap sullo smartphone e mettendomi le cuffie in treno; in passato, questa cosa non era possibile. Tuttavia, a mio modo di vedere questo si porta appresso due rischi. Il primo è quello di non dare il giusto valore alla musica che ascoltiamo: se il catalogo online è pressoché infinito, posso sempre cambiare canzone o artista nel momento in cui ciò che ascolto non mi piace; in passato, comprando un disco o una cassetta (e non pagando un abbonamento) le canzoni assumevano sicuramente più valore. Il secondo rischio, invece, ha più a che fare con la scelta consapevole e intenzionale di ciò che si ascolta: l’abbondanza dell’offerta e gli algoritmi delle varie piattaforme fanno sì che cercare qualcosa di diverso diventi più uno sforzo che uno stimolo per la maggioranza degli ascoltatori, che quindi si limitano ad ascoltare solamente ciò che viene proposto loro dalle piattaforme tramite playlist e radio.

Spostandoci dalla parte di chi la musica la crea e la condivide, i social network hanno cambiato radicalmente il modo di comunicare degli artisti e delle etichette, e lo sviluppo tecnologico applicato all’home recording ha fatto sì che chiunque (con un minimo investimento) possa fare musica. Ciò significa che fare musica è diventato più “democratico” e questo è sicuramente un bene; probabilmente anche io stesso non avrei avuto gli strumenti per fare musica in passato. Ciò nonostante, l’abbondanza non è sempre sinonimo di qualità, e per gli artisti è sempre più difficile farsi riconoscere in mezzo al marasma della scena indipendente, dove tutti hanno gli stessi mezzi comunicativi e spesso a vincere nel breve periodo è chi punta al “contenuto virale”.

Consapevole di questo, cerco di portare avanti un progetto trasversale dove la proposta musicale sia identificabile e di qualità puntando a migliorare di uscita in uscita – sempre rispetto ai mezzi che ho a disposizione e circondandomi di poche persone di cui so di potermi fidare. La speranza è che nel lungo periodo questo mi possa portare a togliermi delle soddisfazioni.

Ad avere la possibilità di aprire un concerto in uno stadio di un big della musica, affrontandone il pubblico con la tua musica, chi sceglieresti? E perché?

Questa è una bella domanda. Non sono solito ascoltare big della musica italiana, per cui fatico a immaginarmi ad aprire a qualcuno di loro. Tra quelli che fanno gli stadi in Italia penso che sceglierei Salmo: non l’ho mai visto dal vivo, ma dai video live che ho visto sembra essere un mostro sul palco. Sicuramente non reggerei il confronto (e va bene così) ma avrei l’opportunità di suonare di fronte a quella che (sempre tra quelle dei big italiani) si avvicinerebbe di più alla mia audience tipo.

Quali sono i tuoi piani più immediati?

Ora come ora sono focalizzato sul disco. A breve annuncerò la data di uscita (molto vicina) e da lì inizierò a pensare a tutta la strategia comunicativa per le canzoni più rappresentative che non sono ancora uscite. Mi piace molto realizzare dei piccoli video a costo zero delle mie canzoni: per portare a più persone possibile la mia musica sui social, e per dare anche un’immaginario visivo ai brani. Tendenzialmente mi riprendo da solo o con l’aiuto di qualche amico o della mia ragazza, per poi editarli da me in seguito. Non lo faccio da tantissimo ma sento di migliorare di volta in volta, tanto’è che i risultati finali mi piacciono sempre di più!

Come nasce un tuo brano di solito? Raccontaci qualche aneddoto!

Tendenzialmente parto da un’idea delle più disparate: può essere una nota sul telefono che mi appunto durante le giornate, una bozza di un beat o un giro di chitarra che mi viene sul momento o mi sono registrato in precedenza. Da lì cerco di costruire una demo, partendo dalla strumentale ma avendo sempre un occhio di riguardo al testo e al concept che voglio sviluppare. Una volta arrivato a qualcosa che mi piace, scrivo un testo sul quale rimugino per diverso tempo; non sono una penna particolarmente veloce, diciamo. Per il mio ultimo singolo “Time” il tempo di gestazione è stato particolarmente lungo e ho avuto bisogno dell’aiuto di Marlon per giungere a un ritornello che mi piacesse per davvero. Lui è un super produttore e un artista eclettico nel vero senso della parola, e ai tempi gli feci sentire una demo del pezzo senza il ritornello cantato. Quando gli dissi che non sapevo neanche se cantarci sopra perché non sapevo cosa dire, mi rispose così: “il pezzo parla del tempo? Tu allora diglielo, continua a ripeterglielo fino allo sfinimento. Tempo, tempo, tempo…”. Automaticamente, una volta acceso il microfono abbiamo fatto una take insieme buttando giù una bozza del ritornello finale del brano; a me non rimaneva altro da fare che registrarlo per bene una volta tornato in studio.

Quanto è importante per te internet nell’ambito musicale? Si rimpiange il passato in cui i social e selfie erano solo utopia o, meglio, proiettarsi verso il futuro abbracciando le nuove, seppur fredde, forme di comunicazione?

Io penso che i social siano uno strumento di comunicazione potentissimo. Come dicevo prima, farsi riconoscere e ascoltare per un artista oggi può essere difficile dal momento che tutti hanno gli stessi mezzi. Tuttavia, è innegabile che internet e i social offrano delle opportunità che erano impensabili anche solo 10/15 anni fa. Io penso questo: quando si trova un proprio stile comunicativo e si sfruttano i social non solo come il proprio “canale televisivo”, ma anche per avvicinarsi ai propri fan e creare contatti reali con altri musicisti, allora li si sta utilizzando nella maniera migliore possibile. Ciò che voglio dire è che se non si perde di vista la dimensione “sociale” dei social network – che paradossalmente è quella che, nonostante sia insita già nella loro definizione, è quella che si è persa di più negli anni – allora anche un selfie può assumere un significato che va al di là del “guarda come sono figo mentre suono”. Ovvio che non è facile, e talvolta anche io faccio fatica a farlo.

Sempre convinti che ogni forma d’arte sia la massima espressione della bellezza. Tu da artista che rapporto hai con la bellezza? Quale il tuo pensiero in merito, in una società ormai distrutta dall’agognata apparenza, in cui l’arte sembra passare in secondo piano?

Anche questa è una bella domanda. Partendo dal presupposto che la bellezza è soggettiva, da artista cerco di proporre con la mia musica delle canzoni che io in primis ascolterei volentieri. In questo senso, però, il mio gusto può essere diverso da quello degli altri, e ciò che può essere bello per me può non esserlo per altre persone; questo vale non solo per la musica ma per l’arte in generale.

Fatta questa premessa, penso che l’essere autocritici al punto giusto sia la chiave per proporre il proprio modo di intendere “la bellezza”, intesa come quella “qualità” di cui parlavo prima – nel mio caso all’interno della musica. Dico “al punto giusto” perché esserlo troppo può avere due effetti indesiderati: può intaccare il processo creativo portando a rimuginare su quello che si sta facendo, o in casi estremi può persino spingere all’omologazione della propria arte nel tentativo di seguire dei canoni che si pensano universalmente adeguati. Ma anche essere troppo poco autocritici, soprattutto terminato il processo creativo ed entrati in quello di “revisione”, può essere rischioso: può portare a non capire in primis sé stessi e i propri limiti, e poi a non dare il giusto significato a quello che si fa. Questo è un po’ il mio modo di vedere la questione bellezza e arte, sempre dal punto di vista di un artista indipendente che cerca di essere autocritico il giusto con sé stesso – cosa che, comunque, non è sempre facile.

C’è differenza tra ciò che ascolti e ciò che in realtà componi e canti?

In realtà abbastanza. Ascolto vari generi a seconda del mio stato d’animo e di quello che mi va di ascoltare in un determinato periodo; vado molto a momenti. Non mi piace troppo la scena italiana (specialmente nel mainstream) perché trovo che le sonorità nelle produzioni si somiglino un po’ l’una con l’altra, che si siano un po’ appiattite diciamo. Per questo, nonostante scriva in italiano, negli ultimi anni ho iniziato ad ascoltare tanta musica che arriva dall’estero; in particolare, mi piace un sacco la scena hip-hop inglese, dove ci sono un sacco di artisti che mischiano sonorità che arrivano dal jazz con la black music più moderna. Questo mi ha aperto un mondo dal punto di vista della produzione musicale: la palette sonora e il gusto che hanno è completamente diverso dal nostro e forse è per questo che mi piace così tanto.

Poi come dicevo prima vado a momenti in cui mi fisso su ascolti particolari; recentemente ho avuto un periodo jazz in cui ho riscoperto Miles Davis, la settimana prima mi sono fissato con Mac DeMarco, e prima ancora ho ascoltato a ripetizione il disco “Zero” dei Bluvertigo. Sicuramente ciascuno di questi “momenti” influisce sul mio modo di fare musica, tant’è che anche all’interno del disco cerco di spaziare tra sonorità molto diverse tra loro.

Chi vorresti ringraziare per chiudere questa intervista?

Le persone che mi hanno dato una mano a crescere in primis come persona e poi con il mio progetto musicale, ciascuna a proprio modo. Sarebbe una lista lunghissima e sicuramente mi dimenticherei qualcuno, e siccome non mi va di fare un torto a nessuno facciamo che va bene così.