Suona come deve e in fondo come ci aspettavamo questo “Synchronizer”, il nuovo disco dei Piqued Jacks che inaugura anche il nuovo percorso firmato INRI. E dentro questo disco svettano firme di produzione che è inevitabile non sottolineare: Julian Emery (Nothing But Thieves), Brett Shaw (Florence + The Machine) e Dan Weller (Enter Shikari). Inglese, main stream, arrogante, ricco di glam ma anche di quel fare sbarazzino che un poco sa di “punk”… sa di acido e di dolciastro, ma anche di quel suono che inevitabilmente rimandano al grande pop rock italiano di band che hanno saputo andare oltre il cliché nostrano. “Synchronizer” forse non ha ancora raggiunto il quid con una melodia vincente… ma è un disco per palati fini, un disco che culla un bello importante, dentro disegni per niente scontati.

 

 

La grande produzione firmata da persone così importanti ha decisamente fatto sentire il suo peso. E voi, vivendolo dall’interno, cosa avete raccolto?

Difficile andare nello specifico perché si parla di esperienze davvero complete, stimolanti e formative sotto molti aspetti. Di fronte a professionisti di quel calibro non puoi che “rubare” tutto ciò che puoi.

 

Vivere a pieno il suono e la scrittura di altre tradizioni lontane dalla nostra non vi crea qualche disagio? Tutto raggiunge un equilibrio o siete ancora in cerca della perfetta codifica?

La ricerca non si arresta mai, ma attingere da un altro panorama musicale ci viene naturale, altrimenti non persisteremmo nel fare rock in inglese sfidando i dogmi del nostro paese. Saremmo a disagio se provassimo a fare il contrario.

 

In questo scenario moderno di futuro e facili trasgressioni, “Synchronizer” resta molto educato nella forma. Come a voler confermare anni di percorso… come a volerlo ribadire… sbaglio?

Anche questo è un aspetto su cui non riusciamo a soffermarci perché siamo completamente abbandonati alla spontaneità di ciò che scriviamo. Al giorno d’oggi ci sembra un po’ che la trasgressione sia più fare un lavoro “fatto bene” piuttosto che il contrario. Non solo la forma, ma anche il contenuto – l’anima, in particolare – sono aspetti un po’ trascurati, noi non ce la sentivamo di chiuderli fuori dallo studio.

 

L’amore, la riscossa, il romanticismo… un filo conduttore che resta ancora all’uomo o alla sua società che vive attorno?

Il nostro bassista littleladle ci ha messo 7 anni a laurearsi in filosofia proprio per queste domande! Per fortuna queste tre cose rimangono all’uomo, anche se spesso e ultimamente la società tende a condizionarlo facendo sì che questi valori preziosi decadano un po’ o si svuotino di autenticità. Sta a tutti lottare per far sì che restino con noi.

In tutta questa produzione di stampo internazionale, come si incastra un violinista come Francesco Moneti dei MCR?

Dove internazionale significa più nazioni e culture, chi meglio poteva riassumere le radici folk dell’Italia se non Francesco? Allo stesso tempo, il suo ultimo album “Cosmic Rambler” è un esempio della sua capacità di esprimersi con linguaggi diversi.

 

Il 27 marzo scorso vi siete lanciati col paracadute. Insomma: il lancio della band è qualcosa che avete preso alla lettera. Oltre 60 mila persone raggiunte dall’evento in streaming. Idea originale che in qualche modo si scontra con la libertà (a parete la vostra) di viverlo con i propri occhi… interessante questo concetto…

Il lancio era assolutamente in linea con la narrativa dell’album e dei singoli che l’avevano anticipato. In un certo senso invece i nostri fan sono riusciti ad entrare dentro l’evento e viverlo come se fossero lì a guardarci; dopo il concerto abbiamo letto commenti che non ci sembravano veri. La botta di adrenalina è stata così tanta da arrivare anche al di là del muro digitale. Forse gli unici a non rendersi bene conto di tutto siamo stati proprio noi: ci abbiamo messo davvero 3 o 4 giorni per realizzare cosa fosse successo.