NATE WOOLEY | Ancient Songs of Burlap Heroes

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NATE WOOLEY
Ancient Songs of Burlap Heroes
Pyroclastic records PR20
2022

Sequenza caratterizzata da quattro passaggi praticamente anonimi, a cornice e ad interpunzione tra tre brani invece titolati, e di ben più estesa esposizione e caratterizzazione: una sintesi estrema, anzi risicata per un programma che palesa piuttosto ambizioni da composito poema elettroacustico.

Il trombettista “squisitamente ostile” Nate Wooley, realtà nitida ben al di là della scena newyorkese, vantante frequentazioni d’altro profilo tra cui Anthony Braxton, John Zorn, Ken Vandermark, Evan Parker, stabilmente attivo in proprio quale promotore musicale, s’investe su rinnovata esperienza discografica con il proprio, originale quartetto Columbia Icefield (omaggiando il fiume dei suoi natali in Oregon) e, dopo la recente ed omonima produzione del 2019, torna ad aggregare il batterista Ryan Sawyer così come le ‘punte’ contemporanee dei cordofoni elettrificati (le ineluttabili Mary Halvorson e Susan Alcorn).

Di fatto sono coinvolti altre solide figure dello scenario ‘avant’ nella costruzione del materiale in oggetto, ma questo è introdotto all’avvio dal solo leader mercé l’atmosferico impiego di registrazioni ambientali a carattere acqueo ed eolico di notevole pervasività nel soundscape d’apertura, conducendo alla strutturazione drammatica “I Am the Sea that Sings of Dust”, dal caotico apparire di tracce degli individuali strumenti, in unusuale mélange di languore e ruvidità, fino ad un breve ed infuocato acme di massa, segnato da un drumming ringhioso e dalla dura elettrificazione delle corde, oltre allo svettante calore della tromba e alle libere geometrie di viola del convitato Mat Maneri, il tutto in spedita dissoluzione verso un flusso disorganico.

La narrazione prosegue lungo un desolante indugiare, che prelude ad un portale di fibrillanti coloriture nella misterica e fluttuante A Catastrophic Legend, le cui ondose articolazioni sono segnate dallo sfuggente dialogo delle corde, e nella cui tensione si palesa incisivo e coalescente il bordone basso di un ulteriore guest-star quale il bassista Trevor Dunn, che segna un tratteggio propulsivo e increspato per un finale dal lento e teso congedo.

Ultimo dei passaggi ‘titolati’, Returning To Drown Myself, Finally… apre con seriosa e serotina vena lirica sostenuta dalla voce di tromba, riverberante con misura nel tratteggiare una stanza di contemplazione d’ampio respiro, insieme celebrativa e desolata, aprente agli energici apporti della band, di spirito caotico ed in forte contrasto con l’intro, quantunque la distinta e svettante traccia d’ottone riguadagni corpo e presenza conducendo il passaggio fino all’epilogo, transitando nella risacca e nelle increspate ondulazioni acquee della track conclusiva, del tutto priva di percepibili interventi solistici o comunque umani.

Nell’album, o meglio nei passaggi ‘con titolo’ s’imbastisce un’energica fusion che trova a cornice, come si anticipava, una dimensione ’ambient’ tratteggiata come incombente e minacciosa, e le ragioni vanno anche ricercate entro un originale senso di “musica popolare”, da intendersi (non del tutto sorprendentemente) come una “tradizione narrativa che esprime i racconti e l’etica collettiva di un popolo”.

 In particolare Ancient Songs esprimerebbe l’etica degli “eroi della juta” (o “tela da imballaggio”), i Burlap Heroes del titolo e, ancora secondo Wooley:  “Quest’album è dedicato a coloro che riconoscono la vita come un atto eroico. Un eroe di tela è colui che marcia, consapevolmente o meno, verso il mare nella speranza , che comprende e abbraccia l’imperfezione dell’essere”.

Anche le “agghiaccianti” immagini di copertina conformano la location rappresentativa entro una realtà distopica e post-umana, lungo un programma che non sembra ambire a manifesto d’innovazione quanto alla verifica del potenziale rappresentativo dell’alterno schema stilistico.

Di fatto però l’ispirazione s’avvia non con una retorica dedica ad anonimi e (non troppo) ipotetici derelitti da quarto mondo, quanto attenzionando più prossimi lavoratori del braccio nordamericani; peraltro le registrazioni ambientali sono state effettuate da Wooley nel villaggio di pescatori di Machiasport, nel Maine e le immagini di copertina non sono estratte dal pilot del serial The Mandalorian bensì, seppur forzando la prospettiva, nel clima invivibile ed artico della stazione meteo di Isachsen nel Nunavut (Canada).

Sospendiamo ogni ulteriore considerazione sullo stato socio-economico di certe realtà del nord America contemporaneo, pur di fatto avendone un allegorico riscontro nelle cifre drammaturgiche dei passaggi, che  pongono insomma a cimento le forze incombenti dell’ambiente con la rappresentazione di un vissuto di sacrificio e sofferenza, conferendo un omaggio consapevole alle ordinarie tribolazioni dell’uomo (e della donna) qualunque.

Una sorta di epica, se non degli ultimi, dei dimenticati nell’impari contrasto con una natura violenta e trionfante, in una sequenza sonora che esita in un’originale combinazione tra scabrosa tensione poetica e riflessione etica.

 

 

Musicisti:

Nate Wooley, tromba, amplificatori, composizioni
Mary Halvorson, chitarra elettrica
Susan Alcorn, pedal steel
Ryan Sawyer, batteria
Mat Maneri, viola (in: I Am The Sea That Sings Of Dust)
Trevor Dunn, basso elettrico (in: A Catastrophic Legend)

Tracklist:

01. (…..) 2:08
02. I Am The Sea That Sings Of Dust 18:08
03. (…….) 2:50
04. A Catastrophic Legend 15:02
05. (……..) 2:57
06. Returning To Drown Myself, Finally 10:37
07. (……………) 4:42

Link:

Nate Wooley

Pyroclastic Records