Accoppiata interessante e decisamente riuscita quella dei Megaride che pubblicano un disco per Karma Conspiracy Records dal titolo emblematico: “Mo’”. Hanno saputo ben miscelare le due cose: da una parte il teatro che arriva proprio dal napoletano, estetica che mai cade nel bizzarro e che non si appoggia a quell’ironia semplice che distoglie. E dall’altra c’è quel contorno gutturale delle distorsioni tipiche del metallo pesante di questo genere… sono distorsioni caratteristiche che ormai rispecchiano un cliché. E si concedono anche belle tinte melodiche come in “Cascate” dove è il basso a sospendere ogni cosa… o nel singolo “Must Over” dove la voce, in quel teatro canzone di cui sopra, in italiano questa volta, marchia a fuoco un modo di essere e di fare. Un disco davvero interessante che apre diversi e tanti piani di ascolto e di codifica.

 

 

Partiamo dalla geografia… da Napoli o dalla Campania? Un rock comunque straniero per le nostre tradizioni…

Da Napoli e provincia se proprio vogliamo fare i puntigliosi!

Straniero sì per le nostre tradizioni, ma che nelle viscere dell’underground napoletano è sempre stato presentissimo.

 

Appunto su questo: i suoni provengono da oltre i confini italiani addirittura. Come giungono da voi? E come li avete fatti vostri?

Grazie all’unico aspetto buono di questo villaggio globale che ci ha cresciuti permettendoci di entrare in contatto con questo e tanti altri generi che ci sono arrivati da oltre oceano. Poi le ore passate con le cuffiette nelle orecchie ad aspettare treni e bus in ritardo sono stati la nostra camera d’incubazione e di approfondimento.

 

Parliamo di questo nome particolare… cosa significa?

Megáride è il nome dell’isolotto su cui sorge Castel dell’Ovo. È un tributo che abbiamo scelto di pagare a Napoli che ci ha cresciuti dandoci tanto e togliendoci altrettanto, è un atto d’amore.

 

Riferimenti partenopei? Avete pensato a mettere alcune radici in questo territorio… parlo di featuring particolari o di spettacoli particolari… oltre che al dialetto?

Come riferimenti musicali ci sono sicuramente Pino Daniele e James Senese con i Napoli Centrale anche se in realtà ce ne sarebbero tanti altri da citare ma purtroppo servirebbe un articolo a parte.

Di pensieri ed idee ne abbiamo fatte e ne facciamo tante. Non ci piacciono le anticipazioni e quindi vi rispondiamo a modo nostro: Avita sperì! (Vi tocca aspettare).

 

E col senno di poi, questo dialetto si sposa a pieno, non è così? Non rischia di richiamare troppo le acidità violente che la televisione ha sempre troppo accostato al dialetto napoletano?

Per come la vediamo noi il dialetto e il genere si sposano magnificamente, a volte in modi che stupiscono anche noi. I pregiudizi invece li lasciamo a chi ancora non riesce a togliersi i paraocchi.

Per quel poco di televisione che guardiamo ci concentriamo soltanto su un’unica trasmissione: “Un Posto al Sole” (il nostro dirty pleasure).