“Gli uccelli che vivono in gabbia non spiegano mai le ali
(…)
Io so perché l’uccello in gabbia canta una canzone dolce e piena di sentimento
Io so perché l’uccello in gabbia canta quando tutto sembra sbagliato
Io so perché l’uccello in gabbia canta e sbatte le ali legate
Gli uccelli sono stati creati per volare via
Gli uccelli sono stati creati per cantare”

-Abbey Lincoln

 

Il catalogo ormai ampiamente diversificato della label Dodicilune apre l’anno corrente con almeno due album dedicatari, sia pure di contenuto ed approccio assai differente. All’incirca in simultanea con un album strumentale centrato su Albert Ayler, viene ripresa la figura della cantante, autrice ed attivista Abbey Lincoln ad opera della vocalist barlettana Lisa Manosperti, già autrice di due album a programma  orientati su due iconici ma molto distanti personaggi.

Ancora per Dodicilune, è adesso la volta della cantante ed attivista Abbey Lincoln, della cui persona e del campionario canoro si allestisce un programma che prende in esame un lungo arco temporale ma di cui non si riproducono letteralmente gli stilemi, preferendo operare una rilettura in forma di personale riesposizione canora ed un riarrangiamento non letterale, del cui esito garantisce una band strumentale di solida caratura. Articolato in undici ‘stanze sonore’ di spirito prevalentemente menierato, più spesso intimista, dell’album, piuttosto che una valutazione, preferiamo in questa sede affidare la descrizione e la genesi alla titolare in forma di conversazione.

 

Manosperti Uncaged Bird coverOltre quattro decadi del repertorio di Abbey Lincoln (ed altrettante nell’evoluzione del jazz). Cosa ha guidato la scelta dei brani, e quale è stata da parte Tua la “personificazione” del modello?

Quattro decadi e anche molti gradi di maturità di una donna, di una vocalist che ad un certo punto della sua vita artistica ha fatto una scelta importante e coraggiosa, quella di scrivere e cantare brani di sua composizione.

La scelta dei brani da parte mia è stata soprattutto emotiva, era impossibile fare diversamente perché la Lincoln ha composto tantissimi brani di bellezza straordinaria come ad esempio Bird Alone o Should’ve Been, una scelta sentita, in cui non potevo non inserire pezzi di storia come the First Song e Straight  Ahead, partoriti da due geni quali Mal Waldron e Charlie Haden e sui quali Abbey ha scritto testi meravigliosi.

La voce della Lincoln è asciutta, priva di orpelli e vibrato ma fortemente espressiva e pur nella profonda diversità trovo che la mia voce scura di contralto possa raccogliere il suo messaggio e ridarne nuova luce. Luce che, nonostante la notorietà, a mio parere non ha reso sempre giustizia a questa figura gigantesca del canto jazz.

L’approccio nella costruzione del sound sembra esser stato non-filologico ma, nelle scelte strumentali, portatore di spunti personali e contemporanei.

Naturalmente! E aggiungerei: per fortuna! la musica che frequentiamo, ascoltiamo e suoniamo ci dà la possibilità di essere non-filologici nella interpretazione dei brani scelti. D’altro canto, e questa è una lezione che ho imparato presto, reinterpretando monumenti quali Piaf, e ultimamente Mia Martini, se si facesse diversamente si cadrebbe in una sorta di tranello che potrebbe rivelarsi solo una brutta copia dell’originale. La scelta dell’organico  strumentale è stata volutamente classica, un quartetto “jazz” per antonomasia senza ricercare formazioni inusuali. Era mio desiderio, pur riarrangiando completamente i brani, non stravolgere la matrice jazz  afro-americana  di questa meravigliosa vocalist e songwriter.

Manosperti Abbey band

Parliamo dei partner prescelti e dei loro ruoli partecipativi?

Premetto che qui per mia fortuna, provvidenziale è stato  l’aiuto dell’amico, maestro  e meraviglioso compagno di musica Roberto Ottaviano. Poi, per incidere Abbey desideravo un pianista che avesse approfondito nel suo percorso musicale autori come Monk e Waldron: Umberto Petrin è stato una scelta felicissima, possiede un pianismo forte, maturo a tratti essenziale e di grande spessore, un accompagnatore superlativo, un intellettuale amante dell’arte tutta e con una apertura mentale a 360 gradi. L’ho adorato da subito.

La scelta del resto della band è stata semplice: Silvia Bolognesi e Cristiano Calcagnile sono due musicisti di enorme talento e di grande sensibilità, hanno immediatamente preso a cuore il progetto entusiasmandosi ad ogni brano e diventando parte integrante di questo lavoro. Con Roberto Ottaviano poi c’è stato un continuo intreccio di voci, in alcuni brani ci siamo per cosi dire inseguiti, sax e voce si sono quasi fusi in un unico suono, Roberto è molto sensibile alla voce cantata e a volte il suo modo di suonare e in un certo qual senso ‘vocale’.

Ogni musicista ci  ha messo del suo e dato il massimo e io sono felice e onorata di aver potuto lavorare con colleghi di questa levatura artistica. Inoltre e’ la prima volta che collaboro con una contrabbassista donna e, diciamolo pure, che contrabbassista!

Come hai considerato la figura di Abbey nel suggestivo ruolo di “story teller”?

Proprio la cosa che più mi ha colpito è che in ogni sua canzone Abbey racconta una storia e lo fa con una semplicità quasi disarmante, e queste storie ho cercato di interpretarle a mio modo, appunto “raccontando” mentre canto.

Trovo la voce di Abbey Lincoln e il suo repertorio assolutamente nelle mie corde.

Ho ideato il progetto dedicato a lei nel 2016, con il desiderio di incidere, desiderio che ho messo da parte per un po’, da allora varie vicissitudini mi hanno impedito di farlo e ora finalmente è arrivato il momento.

Inoltre c’è un’altra ragione che ha motivato questa scelta: un nuovo disco che ho già  inciso ma che per ora ho messo in coda, e che mi vede autrice di quasi tutti i brani. Una nuova avventura che ho deciso di affrontare.

Lisa Manosperti, ad oggi – per chi non la conoscesse

Che dire? Qualche nota biografica, laurea in canto e musica jazz al Conservatorio N. Piccinni di Bari, significative collaborazioni, otto dischi di cui due come leader, dedicati il primo ad Edith Piaf (La Foule) e il secondo ad Ornette Coleman (Where The West Begins) in cui mi pregio di aver scritto i testi, che attualmente sono anche utilizzati dagli studenti di alcuni Conservatori e Scuole di formazione jazz europee; potrei identificarmi come musicista curiosa, appassionata, piena di sogni, di progetti futuri nonostante l’età, che non ha mai smesso di studiare né di emozionarsi ogni volta che sale sul palco o che affronta una nuova sfida, così è stato per Piaf e per Ornette, per altri miei progetti in essere e ora per Abbey Lincoln.

Per me cantare è una necessità vitale, ho l’opportunità di raccontare me stessa attraverso la mia voce, mettere a nudo le mie paure le mie speranze le mie emozioni e anche i miei dolori. Non cerco la perfezione, quando canto l’unico mio obiettivo è comunicare. Spesso riascoltandomi, mi chiedo se avessi potuto fare meglio quella nota o se fosse stato il caso di correggere uno screzio o una velatura, la mia risposta è sempre la stessa: quella che canta sono io e questo comprende anche le mie imperfezioni, perciò mi accetto così come sono.

Congediamoci con un riferimento al titolo, “Uncaged Bird”: immagine potente, simbolica.

Si, io e Roberto Ottaviano ci siamo chiesti se fosse il caso di scrivere in copertina, “Tributo ad Abbey Lincoln”, ma alla fine abbiamo deciso di no: l’immagine di copertina ha esattamente i colori un po’ Afro e un po’ vintage che desideravo, e quelle sbarre divelte significano molto per me. Sono la ribellione, la volontà di reagire, di essere liberi, in tutti i sensi, anche musicalmente. Non mi piacciono le etichette, questa musica mi permette di sperimentare pur nel rispetto della tradizione. L’ultimo brano del disco Caged Bird ha dato lo spunto al titolo e alla copertina, forse anche per il tono giocoso dell’arrangiamento nonostante il testo impegnativo.

Ecco, da quelle sbarre divelte immagino di librarmi e volare libera, memore però di cosa significa essere in gabbia.