Suona un disco che alle maschere volta la faccia, si mette a nudo nonostante il suono pop digitale quasi dream e quel certo modo di vestire se stesso per la scena di un video-clip (e immaginiamo sia anche ampiamente curato il live). Alessio Calivi si firma KIHM, questo retrogusto orientale dentro un disco come “Recìto” che appunto prende la genesi dal concetto di recita, ritualità, scena… un dream pop assai sospeso che molto richiama le volute di Ottodix e quel certo retrogusto New Wave nuova generazione. E come sempre indaghiamo, curiosità facendo…

 

 

Parliamo di produzione prima di tutto. La ricerca nel suono e nella forma… chi delle due ha guidato l’altra?

La ricerca del suono, per quanto mi riguarda, è il primo processo in fase di produzione.

Prima di iniziare a scrivere un disco ho già in mente le sonorità che dovranno caratterizzarlo, poiché è una serie di idee nate e maturate nel tempo. La forma, non meno importante, è quindi per me il posto giusto dove collocare questi suoni e il suo tipo di struttura. “Recìto” ha un’ossatura pop, da diversi punti di vista. È proprio la scelta dei suoni che magari lo distacca da un certo concetto simil mainstream.

 

Che poi non poche volte viri dentro un pop rock anche molto in stile inglese o sbaglio?

No. Io vengo dal rock alternativo, poi alcuni ascolti inglesi hanno sicuramente influenzato la mia visione musicale. Ad esempio, i Depeche Mode e i Massive Attack su tutti, ma anche i Six by Seven, i Blur e tanti altri. L’idea di essere su disco molto più synth e poi dal vivo diventare rock, mi affascina da sempre, per ritornare alle prime due band citate.

 

La maschera… il tuo viso, il trucco ma anche abiti eccentrici, inglesi anche loro… che immaginario stiamo vivendo?

Oggi l’immagine è più importante della musica in sé, non lo dico solo io. Kihm è il mio alter ego e come tale ha una sua identità. La scelta di apparire per la prima volta, (nel caso del video di “Quello che so”) con un certo vestiario e trucco, è stata scelta voluta e dettata dal fatto che Kihm è così. Suono da circa 20 anni, queste piccole manie di eccentricità le ho sempre avute, ma per me non devono mai superare la rilevanza della musica. Non a caso il secondo video, “China-Man” è completamente diverso dal precedente: non ci sono all’interno.

E se avessero una dimensione acustica? Questo disco come suonerebbe?

Bella domanda. In realtà io e i musicisti con cui sto suonando questo disco, vorremmo elaborare una dimensione acustica ideale per eventuali spettacoli e location.

Non è semplice ma è fattibile. Come suonerebbe non saprei dirlo adesso, di sicuro molto minimal e suggestiva come situazione, meno ritmica e più sospesa.

 

La pandemia e le sue restrizioni, dunque, hanno creato una nuova forma del tuo suono secondo te?

Direi che c’è stato molto più tempo per ponderare determinate scelte sonore. Kihm è l’evoluzione di alcuni precedenti progetti che in un modo o nell’altro mi hanno permesso di maturare musicalmente parlando. Casualmente, durante il primo lookdown, ho iniziato alla realizzazione del mio nuovo studio che oggi è una realtà, il KRH Studio. Avere avuto la possibilità di poter lavorare su macchine analogiche e digitali e avere avuto il tempo di prendere confidenza con loro, mi ha sicuramente aiutato mentalmente a non pensare a tutta la brutta situazione che abbiamo e stiamo ancora vivendo.