Ricordiamo Jula de Palma, protagonista della scena italiana negli Anni ’50, ’60 e ’70, per poi trasferirsi in Canada con la famiglia nel 1974… un’artista che troppo spesso non celebriamo come dovrebbe, anche complice il suo riflettore di scena, spento davvero da troppo presto. Jula de Palma oggi in vita privata viene raggiunta da questo lavoro decisamente interessante firmato dal noto producer Franco Naddei e dalla cantante Sabrina Rocchi: si intitola “Ripensandoci”, disco che riprende e risuona con nuove soluzioni alcune delle più belle canzoni della De Palma. E noi puntiamo il focus sulla produzione, firmata da L’Amor Mio Non Muore, dunque un marchio di riferimento per il suono analogico in Italia. E dunque passato e futuro si incontrano e il risultato è una mescolanza di grande rispetto ma anche di forte personalità.

 

 

Decisamente la produzione per noi è un argomento interessante. E questo disco ha proprio nel suono un punto fermo della narrazione e del concept. Partiamo dalla genesi: come nasce il concept del suono? Sto dando per scontato ne abbia uno ben preciso…

Per la prima volta nella mia carriera ho ceduto il microfono e mi sono concentrato sull’aspetto della produzione sonora cucita addosso all’interprete, un pò come effettivamente si faceva in quegli anni.

Sabrina, che è anche mia moglie, è una ottima cantante per quanto non lo faccia più di mestiere da anni, e il suo timbro vocale si adattava perfettamente alle canzoni che abbiamo scelto nel vasto repertorio di Jula de Palma.

Sono partito dall’idea di stare lontano il più possibile dagli originali e dal suono delle big band e delle orchestre che non solo non potevo permettermi ma che non sarei stato in grado di gestire.

Ogni brano ha portato in sé degli elementi che poi ho unito dandomi dei limiti, come spesso faccio quando affronto una produzione artistica. Sono partito con l’idea di non usare gli archi e ho sfruttato le abilità di Gianni Perinelli e i suoi sassofoni come se fosse un quartetto d’archi.

Così ho cominciato ad abbozzare dei provini in elettronica, che sarebbe il mio vero campo d’azione, e piano piano ho cominciato a sostituire tutte le cose con strumenti veri confrontandomi con chi li avrebbe suonati.

In realtà coi primi scheletri avevo già le idee abbastanza chiare e il suono vero e proprio si è creato man mano quasi magicamente. La fortuna di avere molti amici bravissimi mi ha permesso di sperimentare, scambiare idee, cambiare idea e avvicinarmi sempre più al suono che in qualche modo immaginavo.

Ruolo fondamentale è stato il passaggio alla fase finale di mix in analogico curato insieme a Roberto Villa con cui lavoro ormai da qualche anno a “L’amor mio non muore” a Forlì, dove lavoriamo alla vecchia maniera con un bel banco analogico Argentini e uno Studer 24 piste.

E lì si è compiuta la magia togliendo tutta la patina digitale e rivestendo le prese con riverberi a molla valvolari, echi a nastro e tanta altra roba vecchia come piace tanto a noi.

 

Pensate che Jula de Palma e la sua canzone abbia in qualche modo contribuito alla scelta di un suono oppure quest’approccio poteva verificarsi per qualsiasi disco del passato?

L’ispirazione sonora sicuramente è figlia della nostra sensibilità che non voleva imitare nulla ma creare qualcosa di nostro. In questo senso la guida di Jula, che ci ha dato dei preziosissimi feedback, ci ha illuminato sulla giustezza delle nostre scelte. Considerata la sua storia, tutto quello che ha prodotto in vita sua e con chi ha lavorato, quando ci ha fatto la sua recensione sui primi provini io ero già in estasi!

Di fatto la più grande ispirazione è stata proprio quella attitudine al buttarsi con passione senza troppi preconcetti. L’attitudine al giocare con la materia sonora con coraggio e divertimento credo abbia trovato conferma nelle storie intorno al mondo di Jula de Palma che ha sempre cercato una via innovativa e sempre nuova e personale al suo lavoro.

E’ questa la più grande lezione che abbiamo imparato da questo disco che di fatto omaggia non solo la cantante ma anche il suo modo di lavorare e di pensare la musica e le canzoni.

Non a caso a differenza di “Mostri” , il mio disco precedente dove ho reinterpretato i grandi cantautori della musica italiana in chiave totalmente elettronica, “Ripensandoci” non stravolge gli originali totalmente ma conserva una linea sottile di punto centrale dei brani originali che sono stati solo smontati e rimontati in altro modo.

In “Mostri” ho tenuto solo i testi e tutto intorno ho cercato un mio suono elettronico attraverso quelle canzoni.

“Ripensandoci” è stata una specie di scommessa dove ho giocato al direttore di quella piccola orchestra che lo ha suonato, ed è stato molto divertente!

Che poi di vostro cosa avete messo? In altre parole, quanto e cosa avete “inventato” di quelle canzoni?

Sono quelle canzoni che hanno inventato noi. Io non avevo mai diretto un’orchestra, Sabrina non cantava in un disco intero da molti anni. È stato quello il gioco. Io mi sono quasi imposto di non suonare e di scrivere gli arrangiamenti per tutti e Sabrina ha ripreso a cantare dopo tanto tempo.

Di nostro credo che ci abbiamo messo i limiti e questo ha fatto sì che tutto ci appartenesse un pò di più. Io non ho giocato a fare il grande Maestro, Sabrina non ha fatto l’imitazione della cantante ma ha cantato riscoprendo la sua voce, il suo timbro. Di conseguenza abbiamo inventato un nostro modo sia sfruttando le canzoni, peraltro tutte scritte benissimo sotto tutti i punti di vista, sia giocando coi suoni.

 

E una chiave totalmente futuristica? Secondo voi era plausibile?

Ne ho lasciato traccia facendo una mia versione del primo singolo “Se qualche volta” a mo’ di lato B fatta tutta in elettronica, ovvero portandola nel mio mondo sonoro nativo.

Una bella canzone la puoi fare in mille modi. È più difficile con quelle brutte!

Fatta quella ho avuto la tentazione di farne ancora ma mi sono trattenuto. Ho lasciato il mio segno non per dimostrare chissà cosa ma solo per il puro gusto di vedere che effetto mi avrebbe fatto. Tra l’altro con quel brano ho fatto qualche esperimento proprio in prospettiva di un mio lavoro di originali, che dopo tanti omaggi e cover ho davvero voglia di fare.

 

E quanto è difficile rifare il passato oggi che è tutto facile?

Basta sbagliare benissimo!