Eccoci tra le righe di una produzione assai interessante come quella dei Folkatomik, formazione nata nel 2019 e che vede tra le sue fila la ricerca delle musiche tradizionali da parte di Franco Montanaro, Oreste Forestieri e Valeria Quarta, e dall’incontro con il chitarrista e producer di musica elettronica Li Bassi. Il risultato è molto suggestivo: si intitola “Polaris” ed è la ristrutturazione in chiave digitale e moderna di antichi canti della tradizione del nostro grande sud. Il tempo passato che dialoga con il presente: cose che tornano cicliche e altre che prendono forme inattese e non previste. Il connubio è decisamente affascinante, quasi world in una violenza sintesi anche distorta.

 

 

Noi parliamo di suono prima di tutto. La tradizione l’elettronica. Come avete svolto la produzione?

Il processo è stato lungo. Diciamo che abbiamo dovuto trovare un sistema di lavoro che ci permettesse di essere liberi e creativi, ma allo stesso tempo rispettando i punti fissi (musicali) che c’eravamo dati.

Quindi siamo partiti da ascoltare i brani nella loro forma più scarna (tamburo, voce e poco di più) e senza farci guidare da altri abbiamo iniziato a lavorare in studio…

E un passo alla volta abbiamo preso la rotta (dopo averne cancellate decine …).

E ora ci sentiamo a casa!

La cultura del sud Italia non pensiate passi anche da un preciso suono? Averlo in qualche modo violentato non ha significato anche violentarne il significato?

Quando dobbiamo descrivere un genere musicale, una band, un progetto…

Ci serve comunicare, e a volte nel comunicare deve (si voglia o no) usare delle semplificazioni. Per dire che ci sono stilemi di genere che devono essere rispettati e altri che possono essere spostati.

Così abbiamo fatto i conti con alcuni di questi e non li abbiamo mossi (vedi la lingua, i binari ritmici ecc…) altri invece li abbiamo completamente riletti con un suono contemporaneo.

Se dovessimo leggere la tradizione come qualcosa di immobile, un dogma, allora non mi sarei mai avvicinato a questo mondo, avendo bisogno di stare nel presente.

Al contrario ho trovato un mondo (quello della tradizione) molto più aperto di altri.

Dove il messaggio che passato è: se non si rinnova, rinfresca e inventa… non ci sarà più una “Tradizione”. (Li Bassi)

E nello scegliere i suoni nuovi? In che modo avete misurato questa scelta con il contesto delle liriche e delle melodie?

La guida è stata: se non funziona, buttalo! Se funziona: ballalo!

Così abbiamo ascoltato e valutato decine di brani e dopo un lungo tira e molla interno siamo arrivati a identificare i brani che secondo noi avrebbero avuto le gambe per camminare…E allora è stato più facile il tutto.

Di quale Italia parliamo poi? Soltanto il Salento o troveremo altro del nostro prezioso sud?

No, siamo trasversali. Usiamo lingue diverse, si passa dai dialetti Calabresi al Brindisino, dal Salentino al Campano, al Siciliano.

Il mediterraneo ci sembra un ottimo posto in cui incontrarsi tutti.

Secondo voi esiste anche oggi una tradizione? La stiamo scrivendo?

Ci sono tradizioni di famiglia, di piccoli centri abitati, di regioni, di catene montuose, di marine, di centri urbani, del sud, del Nord e dell’Italia intera. Dipende di cosa stiamo parlando. La musica lirica, la canzone napoletana, sono tradizioni Italiane, e sono ancora vive.

Se per tradizione si intende musica di tradizione orale rimasta immutata (senza andare troppo lontano nel tempo) almeno dagli anni 50′ ad oggi e circoscritta in piccole aree, sicuramente no. Per sopravvivere fino ad oggi è dovuta necessariamente mutare.

Quindi, per rispondere alla seconda domanda, quello che oggi chiamiamo tradizione è stato in realtà già riscritto, modificato, riadattato ai tempi che ha percorso perché potesse arrivare a noi e ciò che scriveremo oggi forse sarà riletto domani. È il naturale processo dei cicli della vita… e della “tradizione”. (Forestieri)