Esce domani 6 ottobre questo esordio eponimo del quintetto salentino che mescola Jazz e resto del mondo, un suono che si ancora alle derive più classiche di una ricerca che definirei più antropologica che filologica. Di sicuro la geografia è un punto chiave nella lettura dei brani e che bella questa produzione in musicassetta portata avanti dalla Lobello Records di Tobia Lamare. Ovviamente la tradizione pugliese, ovviamente il Mediterraneo, ma non deve stupire l’Africa e neanche quel certo modo di incontrare l’elettronica. Lasciamo spazio ai convenevoli e vi regaliamo in anteprima l’ascolto del disco che si è lasciato anticipare dal singolo “Focus” che sulle prime richiama alla mente una certa nevralgia alla Miles Davis.

 

 

Ci sono generi musicali che spesso vivono proprio di radici antiche. Il folk, il blues… il jazz invece cerca continue contaminazioni. La vostra?

Nelle nostre composizioni la contaminazione avviene su più livelli.

Quello che ascoltiamo quotidianamente influenza il nostro concetto di musica, partendo dal jazz in tutte le sue sfaccettature (che sia free jazz, Hard Bop, Dixieland, Fusion o cool jazz) e passando per il reggae, prog rock, metal, musica elettronica e world music. Molti di questi generi li suoniamo in progetti paralleli e quindi, ad un livello più personale, suonare più generi significa assorbire e fare propri più linguaggi.

Da un punto di vista più intimo (e probabilmente quello più importante per il nostro progetto) ognuno influenza con il proprio stile e il proprio sound quella che è la composizione originaria, che parte dall’atto creativo del singolo, fissata su spartito e che poi prende vita nel momento in cui si entra in sala prove. Il duplice vantaggio è che il sound generale acquisisce una sua identità che è data dalla commistione delle nostre esperienze singole e che ognuno di noi è davvero libero di esprimersi per il bene del progetto.

E se dovessimo dare una geografia a questo nuovo disco? Europa o resto del mondo 

Nel nostro disco abbiamo strizzato l’occhio all’Hard Bop, al free, all’afro, al funk, all’elettronica e al jazz moderno.

Ci piace pensare, senza voler peccare di presunzione, che anche nella zona più remota della terra qualcuno possa in qualche modo riconoscersi anche soltanto in uno dei nostri brani, perché il vantaggio di qualsiasi forma d’arte è che non ha bisogno di un traduttore o di essere necessariamente codificata per poter arrivare a destinazione, collocando il nostro lavoro nel “resto del mondo”.

Elettronica e futuro? Questo disco eponimo quanto guarda al futuro?

Il disco si chiude con “Est” che è il brano con più elettronica rispetto agli altri. È stata una scelta voluta quella di inserirlo come brano di chiusura, in parte come nota a noi stessi su quello che potrebbe accadere nel prossimo lavoro, con le potenzialità e le sonorità che si possono ottenere grazie appunto all’elettronica. Come tutti i brani già scritti, quelli futuri nasceranno dall’esigenza di voler dare sfogo alla nostra creatività. Ciò potrebbe implicare anche l’uso di una effettistica maggiore per aprire più porte ed esplorare più mondi, ma non necessariamente diventerà la nostra priorità. Il bello del futuro è che è tutto da scrivere.

E invece al passato ci guarda pensando alla produzione in musicassetta. Che storia è questa?

Quest’idea nasce in collaborazione con la nostra etichetta, la “Lobello records”. È un’etichetta che da sempre riesce a trovare nel moderno un accenno di vintage e nel vintage tanta modernità. Il più delle volte si rincorre il futuro senza pensare che gli stimoli maggiori provengono invece dal passato. In questo caso la musicassetta per noi flaming fingers rappresenta un bel ricordo: il ricordo dei nostri primi album ascoltati da piccoli (siamo tutti e cinque nati tra gli anni ’80 e i primi ’90), di supporti fisici che rendono la musica tangibile e facilmente ed elegantemente trasportabile.

Un supporto come le MC secondo voi che rappresentano? Una moda o una degna alternativa al suono di oggi?

Se la musicassetta tornasse di moda potremmo certo dire di aver contribuito, nel nostro piccolo, a questa rivoluzione. Sarebbe bello. Inoltre chiunque abbia avuto modo di ascoltare musica da questo supporto sa di quanta pazienza bisogna armarsi: cercare il punto preciso in cui quel brano inizia o anche solo trovare quel ritornello o quel riff in particolare, armeggiare con i “rewind” e “forward”, quasi più utili del semplice tasto “play”, porta l’ascolto in una dimensione poetica, di cura e di attenzione. In un periodo storico in cui la fretta è padrona del nostro tempo, riprendere a dare la giusta importanza alle cose sarebbe sacrosanto.

A chiudere: questo video? Assai essenziale, poco figurativo ma decisamente didascalico al suono… perché?

La musica strumentale ha un grande vantaggio: poter dire tutto quello che chi ascolta riesce ad immaginare.

Scrivere un bel testo che sia ricco di significato è tra le cose più difficili che ci siano. Motivo per il quale siamo dell’opinione che “less is more”. Abbiamo pensato, in questo caso, che anche l’essenzialità visiva possa essere d’aiuto: in questo modo chi guarda il video e ascolta il brano (di stampo afro) può immaginare di trovarsi in una savana oppure intorno ad un falò in spiaggia e ballare tra amici oppure nulla di tutto ciò, semplicemente ascoltare la musica solo per il gusto di farlo.