Gianluca D’ingecco dal pianoforte alla filosofia, dall’uomo al suono digitale dell’underground dietro le trame quotidiane, privo di geografia e tempo in queste nuove composizioni “altre” racchiuse in un disco dal titolo “Linear Burns”. Troviamo di tutto, tante contaminazioni di inevitabili rapporti tra Jazz e World music in atmosfere “berliniane” ricche di glamour e di sospensione metropolitana. Un disco difficile da etichettare e da raccontare, ancorato ai grandi classici della musica di genere ma allo stesso tempo pregne di personalità identitaria in perenne via di sperimentazione. Un viaggio lungo e impegnativo, un’immersione umana e spirituale prima ancora che evocativa nelle sue forme soniche. Il video di lancio di “Foreign Doors” forse riesce a dare un’idea periferica di tutto il mondo racchiuso dentro queste nuove 12 scritture firmate da D.In.Ge.Cc.O.

 

 

Parliamo di suono. Ricerca ma anche storia personale, di crescita e di esperienza. Che suono ha questo disco secondo te – col senno del poi?

Un suono contemporaneo. Credo sia l’aggettivo che rappresenta di più “Linear Burns”. Quando parliamo di musica elettronica la ricerca del suono, dei suoni è più che mai un’esigenza. Anche perché, grazie alla tecnologia, siamo in grado di plasmare questa materia, di manipolarla. La mia esperienza in questo senso nasce con sintetizzatori analogici come ims 20 Korg o iMS 20 dell’Arturia e anche le varie Roland TB – 303, la TR – 808 e la TR – 909 che hanno segnato tutta la musica elettronica e non solo, della fine degli anni ‘80 e degli anni ‘90. Poi con l’avvento della tecnologia digitale, dei campionatori digitali e delle innumerevoli possibilità che questi strumenti hanno creato per manipolare suoni, ritmiche e quant’altro, ho cercato di conoscere più a fondo questo mondo e me lo sono messo a studiare (primo tra tutti il software ReBirth RB .338 che raccoglie un po’ tutte le potenzialità delle Roland già citate e reso disponibile, poi, per ipad dal 2015 in una versione fantastica che però poi fu tolta dal mercato per questione di diritti d’autore rivendicati dalla Roland). Non sono mai stato uno di quei puristi dell’analogico o in generale nostalgico di quello che fu. Sono stato sempre affascinato dalle novità che la tecnologia può offrire in ogni campo e soprattutto nell’ambito delle possibilità creative.

 

Parliamo di visioni. Una scrittura che lascia aperta al pubblico ogni chiave di lettura possibile e immaginabile… trovi che sia bello e opportuno che l’ascolto di ognuno arrivi dove voglia, dove senta, più che dove si nascondi il vero messaggio che era all’origine della tua scrittura? O pensi che questa libertà porti a deviare la comprensione del progetto?

Arturo Benedetti Michelangeli, il grande pianista, uno dei più grandi interpreti di tutti i tempi diceva che la musica è un diritto, ma soltanto per colui che la merita. Parto da questa considerazione per eccepire alla tua considerazione di partenza. Sinceramente non credo affatto che la musica, qualunque essa sia, possa lasciare aperta ogni chiave di lettura possibile all’ascoltatore. O meglio. Io credo che ognuno di noi ha dei codici di lettura suoi, propri. Ognuno di noi interpreta ciò che ascolta, attraverso questi codici del tutto personali. Questi codici si formano grazie a tante variabili possibili. Per quanto riguarda quello che, semplificando, potremmo definire il gusto musicale, sono il frutto di una serie di elementi quali l’ambiente, l’approccio con la musica avuto sin dall’infanzia, le mode, la sensibilità, le capacità intellettive istintive. Questi elementi sono quelli che fanno nascere, in ognuno di noi, quei codici attraverso i quali decodifichiamo, appunto, un brano musicale. Dipende dalla sensibilità e dall’apertura mentale che hai maturato nel corso di quella che è stata la tua personale esperienza con la musica.

E’ vero che, nel caso di Linear Burns, è proprio ricercata questa varietà di approccio alla musica elettronica evidente anche da brano a brano, ma non credo che ci sia così tanta possibilità interpretativa nel suo complesso perché tutto il lavoro è legato da un filo conduttore che, comunque, un attento ascoltatore sa cogliere.

Chi e cosa sta diventando D.In.Ge.Cc.O. oggi? Sta allineandosi alla cultura europea o comunque cerchi di mantenerti apolide?

Ho sempre ritenuto che l’Europa, nel prossimo futuro, abbia molto da dire da un punto di vista culturale, economico e politico.  L’Europa ha nelle singole nazioni, una diversità di culture, di tradizioni e di storie senza pari. I più grandi artisti e pensatori dell’era contemporanea sono europei così come grandi personalità nel campo delle scienze e della tecnologica. L’Europa, che se ne dica, ha dato esempio di essere costituita da grandi stati democratici e nei 50 anni dalla sua esistenza, di essere una grande democrazia sovrannazionale. Ci sono tutti i presupposti affinché l’Europa divenga una grande guida per l’umanità nel prossimo futuro. C’è uno spettro però che aleggia sopra a questa visione: Quello che non deve fare l’Europa è commettere gli errori del passato. Dare spazio a nazionalismo o integralismi di ogni genere i quali si nutrono delle paure e del disagio e delle differenze e ingiustizie sociali che ancora ci sono e sono tante. Ecco perché l’Europa deve vedere nella visione solidaristica tra i suoi stati membri, il progetto del suo futuro. Solidarietà per le classi sociali più deboli e sostegno per la crescita dei paesi che sono più indietro e a sud del continente. L’austerità deve cedere il posto ad un modello solidale. All’esterno l’Europa deve essere baluardo dei diritti civili e quindi sempre più intransigente verso tutti quei paesi che li violano costantemente. Deve farsi carico di essere aperta ad ogni cultura ma al tempo stesso inflessibile contro ogni integralismo di carattere politico e religioso che possa anche solo provare a mettere in discussione conquiste di civiltà pagate con sacrifici di vite e sangue. Ecco in sintesi come io vedo il futuro possibile di un Europa Leader mondiale e faro di civiltà per l’avvenire.

E se pensassi al colore di questo disco, mi viene da pensare al color dell’oro… secondo te ha senso?

Quando si parla di musica e colori le suggestioni sono tante. Mi piace immaginare che in Linear Burns ci siano una moltitudine di colori come quelli delle atmosfere che ogni pezzo o suono è in grado di creare. Uno studente di armonia e composizione sa bene che gli accordi in maggiore rappresentano sempre colori caldi e quelli in minore colori scuri, freddi, questo per quanto riguarda l’impatto emotivo che si vuole creare. Ma spesso la musica, come le emozioni, non viene mai colorata con tinte unite ma sempre attraverso una miriade di sfumature. La realtà delle cose è fatta di sfumature.

In “Linear Burns” ho cercato di creare tanti colori nuovi e di dare vita a tante sfumature diverse all’interno di ogni singolo pezzo. E’ stata un po’ una scelta compositiva questa, nata dal tentativo di voler rappresentare al meglio un immaginifico multiforme che però fosse credibile. Quindi si, per rispondere alla tua domanda posso dirti che il colore dell’oro ha senso perché raccoglie tutti i colori insieme e dà sostanza, come ti dicevo prima, ad una luminosità preziosa. Un oro però naturale e non metallico come quello che illumina certe albe. Come quello che ha in bocca il mattino, se mi permetti di abusare dell’ennesima citazione del film “Shining” di Kubrick che ho spudoratamente e palesemente citato anche in altre occasioni.

Da Battiato ad oggi. Dal suono di un disco come “Pollution” a questo “Linear Burns”. Certamente non vogliamo fare paragoni… ma puoi comunque vederlo con mano un filo conduttore che collega le due cose?

Sono lusingato solamente dal fatto che tu abbia pensato all’accostamento.

“Pollution” è un disco entrato a far parte della storia del rock, un disco che Frank Zappa definì geniale.

Molti lo definiscono forse il primo capolavoro progressive in cui elettronica e rock si fondono in modo magistrale, ma io credo che “Pollution” sia molto di più. “Pollution” è un disco dove il Valzer di Strauss si mescola ad una narrativa disturbante, dove i sintetizzatori e le chitarre elettriche assurgono ad un tutt’uno nel rappresentare una visione distopica della realtà. Ecco, forse questo è un elemento di raccordo con “Linear Burns” la cui pretesa, con le dovute proporzioni, è proprio quella di raccontare una visione della contemporaneità, a tratti distopica. Tuttavia, a differenza di “Pollution”, dove non c’è scampo alla visione di un futuro catastrofico, Linear Burns vuole essere la rappresentazione di un immaginario carico anche di speranza. Di fatto noi, appartenenti ad una generazione successiva a quella di Battiato, questo futuro così oscuro e catastrofico, lo abbiamo fatto nostro e abbiamo imparato a conviverci.

Per quanto riguarda le sonorità, invece, ho sempre trovato affascinante, nella musica di Battiato, questa ricerca continua delle sovrapposizioni, delle concatenazioni tra stili e strumenti, tra sacro e profano. Un po’ mi ci sono sempre ritrovato in questa dialettica ed è inevitabile che sia presente anche nel mio modo di fare musica, in sintesi in quel tentativo di creare un “meltin’ pop” di stili e suggestioni musicali.

Detto questo ti posso dire che vorrei tanto che si ritornasse a prestare attenzione ad un modo di fare musica non convenzionale ed in un certo senso invidio il Battiato di quegli anni ed il pubblico di quegli anni. Non ci scordiamo che un disco come “Pollution” riuscì a raggiungere il decimo posto in classifica tra le vendite generali (non di settore come capita spesso oggi di fare classifiche per generi). Erano altri tempi certo, ma ho fiducia per il futuro e ottimisticamente credo che una rinnovata stagione d’impegno civile e culturale stia coinvolgendo la creatività e i creativi nel suo complesso. C’è tanta gente stanca in giro, di vedere additati come cosiddetti artisti, delle macchiette da palcoscenico costruite a tavolino, o di vedere nascere, dal nulla, fantomatici giovani produttori di successo che pagano remixer e Dj di fama col bancomat dei genitori. Così come ci sono, nella migliore delle ipotesi, troppi talenti che si auto impongono di essere incoscienti pur di non rischiare di essere additati come quelli politicamente scorretti e non avere mercato. Da quanto tempo non abbiamo più un Sartre o un Pier Paolo Pasolini tra gli intellettuali? Eppure è proprio da loro che dovrebbe sorgere un atto di ribellione a questa deriva commerciale anche dell’arte e della creatività. Commerciale nel senso che è figlia del concetto che i soldi sono il fine ed il mezzo di tutte le cose. Non è giunto forse il momento, che tutti i cosiddetti creativi, quelli veri, gli intellettuali, quelli veri, e tutti coloro che hanno un minimo di senso critico nei confronti dell’esistente si facciano una domanda? La domanda è quella di “Pollution”: Ti sei mai chiesto quale funzione hai?