Dischi digitali, liquidi, messi in pasto alla critica in un tempo sempre più piccolo, sfuggente e senza lasciar quella traccia tangibile che si possa toccare con mano. E la bellissima Celeste Caramanna non è da meno, attenta com’è anche a quell’aspetto di immagine pubblica, ben curata, di dettagli femminili ma sempre attenta a non prendere direzioni eccentriche invasive, determinanti. Sobria, con quel carattere che si dimostra maturo anche e soprattutto nell’eleganza di saperci stare dentro la scena. Tutto questo parla anche di musica, di suono, di questi 3 Ep che chiudono una trilogia di canzoni che spaziano dal “Brasile” al pop italiano, dal tiepido rock di stile al romanticismo da cassetta. Il tutto dentro un suono digitale, corretto e preciso, composto e senza sbavature… com’è precisa l’intonazione e le chiuse di voce di Celeste Caramanna. E sono due le cose da non aspettarsi: non aspettiamoci un amore incondizionato ai sentimenti visto che nelle liriche l’uomo è sotto analisi anche per il suo comportamento sociale. E poi questa liquidità digitale che non ci sta a restare tale: la trilogia di “Antropofagico” approderà ad un disco fisico, un vinile, un oggetto in “carne ed ossa”.

 

 

Direi che il suono di Celeste Caramanna non ha troppo appigli italiani. Come ti muovi quando pensi alla tua musica? Cosa cerchi… e cosa ti auguri di trovare?

Può darsi che non trovi troppi “appigli italiani”, però ho tanti riferimenti da lì e mi trovo lì dentro sempre. Quando penso alla mia musica, parto giustamente da lì, ma giustamente esco, ricerco, mi incuriosisco, mi lascio affascinare, mi piace sentire quello che non è puro. È strano perché io non cerco una cosa nello specifico, è come se fossi in mare per navigare e non per arrivare ad una destinazione, voglio trovare quello che non mi aspetto.

Restando sul tema io ci vedo tantissima America… nonostante Londra sia un punto fermo per te. perché a questo punto cantare in Italiano?

Anch’io vedo molta America. Londra è una base, ma non è la mia destinazione definitiva. Canto in italiano perché mi piace, canto in siciliano perché mi piace, canto in portoghese perché mi piace e canto in inglese perché mi piace, ma non è la lingua, sono le culture che portano con sé ognuna di queste lingue, sai, con la musica viene tutto insieme: vita, cultura, razza, storia,.. per questo mi piace tanto.

 

E un’altra sfaccettatura che mi arriva è il Brasile… assurdo forse ma volevo condividerlo con te. Cosa ne pensi?

Sono molto felice che senti questa sfaccettatura brasiliana… io sono piena di Brasile dentro: ritmi, testi, melodie, accordi incredibili, sofisticazione, è una cultura incredibile; non mi stanco mai di sentire, di studiare, di ricercare e di cantare.

Secondo te tutto questo poteva nascere o svilupparsi in Italia?

Con certezza ti posso dire che nasce in Italia, è qui che ho avuto la mia prima esperienza e la mia influenza musicale. La nostra musica italiana non è solo molto ricca, ma è anche condivisa e aperta ad altra musica. Io ho sentito per la prima volta Vinicius De Moraes in un disco in cui c’era Giuseppe Ungaretti recitando i poemi di Vinicius, Sergio Endrigo cantando le canzoni di Vinicius, e Toquinho che suonava la chitarra. A parte Ornella Vanoni, Mina, Stefano Bollani, Fiorella Mannoia, e tanti altri, solo per fare dei riferimenti a questo legame della musica brasiliana in Italia, come sviluppo io sono dell’idea che bisogna camminare, bisogna trovare altre persone, altre culture, bisogna vivere, non è un processo informativo, lo sviluppo è un processo formativo: deve stare dentro di te.

 

E se posso: perché Londra?

Londra è sempre stata una metà per la musica, ma anche una metà per culture differenti, con tante opportunità… Quindi mi sembrava un primo passo giusto per me… lì arrivano in tanti, ma lì sembra anche di essere più vicini a tanti altri mondi.