Andrea Sabatino è un puro talento della tromba jazz. Le sue qualità artistiche, riconosciute negli anni da svariati jazzisti già affermati da tempo sulla scena nazionale, gli hanno permesso di condividere il palco affianco a parecchi nomi altisonanti del panorama jazzistico (e non solo) italiano e internazionale come Dee Dee Bridgewater, Sergio Cammariere, Mario Biondi, Mario Rosini, Fabrizio Bosso, Rosario Giuliani, Gianni Cazzola, Paolo Di Sabatino, Daniele Scannapieco, Marco Tamburini, Giovanni Amato, Enzo Zirilli, solo per menzionarne alcuni. Il suo playing, seppur profondamente rispettoso della tradizione jazzistica, si caratterizza per la ricerca di un suono personale che emana calore, impreziosito da un fraseggio agile, limpido, da una sensibilità comunicativa genuina e generosa. Dagli studi classici al folgorante incontro con Fabrizio Bosso, passando attraverso la sua evoluzione stilistica, il verace trombettista salentino – raccontandosi manifestando la sua umanità – focalizza l’attenzione in particolare sul suo progetto intitolato “Melodico” con il fisarmonicista Vince Abbracciante e sul suono nuovo quartetto, ossia Andrea Sabatino Quartet – “Quarantesimo”, insieme a Pietro Lussu al pianoforte, Aldo Vigorito al contrabbasso e Giovanni Scasciamacchia alla batteria.

 foto Dario Discanno

 

Già fin dalla tenera età, a soli cinque anni, ti sei dedicato allo studio della tromba anche grazie alla presenza di tuo padre, musicista come te. Successivamente, dopo il diploma conseguito con il massimo dei voti presso il conservatorio “Tito Schipa” di Lecce, hai intrapreso lo studio e l’approfondimento della tromba jazz. Quando e perché è sbocciato l’amore per questo genere musicale?

Ero diciassettenne e avevo terminato gli studi in conservatorio da trombettista classico. Poi, per caso, una sera mi trovai a Squinzano (provincia di Lecce, n.d.r.), a un concerto di Fabrizio Bosso. Fino a quel momento, dal vivo, non avevo mai ascoltato un trombettista così bravo, tanto da decidere – proprio grazie a quella esperienza – di studiare tromba con lui, ma soprattutto di approfondire la conoscenza del jazz. L’impatto fu così devastante che la mia scelta di dedicarmi allo studio della tromba jazz con Fabrizio Bosso fu immediata.

A proposito di jazz, sei un profondo conoscitore del linguaggio bebop e hard-bop, ma negli ultimi anni – in seguito a una tua ricerca personale – hai iniziato a esplorare un playing differente, più moderno. Com’è nata questa esigenza fisiologica che ti ha invogliato ad affrontare un processo evolutivo e a intraprendere un percorso serio di maturazione artistica?

Io credo che ogni musicista abbia sempre la voglia di scoprire e di riscoprirsi, per cui sentivo l’esigenza di andare alla ricerca di un linguaggio nuovo, di esprimermi in modo personale. E così ho iniziato a nutrirmi di ascolti diversi, spingendomi oltre rispetto a ciò che avevo ascoltato in precedenza, cioè il jazz degli anni Cinquanta e Sessanta. Dunque, ho focalizzato la mia attenzione sull’ascolto di Miles Davis degli anni Settanta, le sue collaborazioni con Jimi Hendrix, per poi arrivare a Tom Harrell – fino ai trombettisti che oggi – a mio avviso – stanno caratterizzando sostanzialmente quella che è l’innovazione jazzistica: mi riferisco ad Avishai Cohen e ad Ambrose Akinmusire. Attualmente ascolto tantissimo questi due musicisti, per i quali ogni volta rimango estasiato dalla loro continua ricerca.

Proprio grazie al tuo eclettismo stilistico, scoperto soprattutto negli ultimi tempi, hai dato vita a diversi progetti assai interessanti: uno, ad esempio, è “Melodico” in duo con il talentuoso fisarmonicista Vince Abbracciante. Qual è il fil rouge di questa formazione e quale il messaggio artistico che intendi divulgare?

Sicuramente il filo conduttore è dimostrare l’amore che proviamo nel comunicare attraverso i nostri rispettivi strumenti, così come il virtuosismo che ci caratterizza. Da tempo, coltivavo il desiderio di far “cantare” la mia tromba – e intendevo farlo suonando alcune storiche canzoni italiane. Io ritengo che ci si possa vantare della tradizione musicale italiana, dunque pensavo al mio strumento come fosse una voce – affiancandomi a un fisarmonicista straordinario: Vince Abbracciante. Oltre ad aver presentato dal vivo questo progetto in tantissime occasioni, abbiamo registrato un disco che sarà pubblicato a breve. Sono davvero felice di “Melodico” e della sinergia che ci lega.

Un altro progetto al quale sei particolarmente affezionato è Andrea Sabatino Quartet – “Quarantesimo”, formazione da te diretta e completata da tre eccellenti musicisti: Pietro Lussu al pianoforte, Aldo Vigorito al contrabbasso e Giovanni Scasciamacchia alla batteria. Quali sono le caratteristiche stilistiche e comunicative predominanti di questo quartetto?

Ho voluto omaggiarmi intitolando il progetto “Quarantesimo”, facendomi un regalo per i miei quarant’anni. Questo gruppo rappresenta la mia vita musicale, il mio modo di suonare, racchiude la musica che ho scritto in questi anni, tutto ciò che sono a livello artistico ma soprattutto umano. Probabilmente, nell’idea di sound del quartetto, c’è davvero tanto di me, della mia maniera di interpretare la musica, ma specialmente il jazz. Ho fortemente voluto questi musicisti: Giovanni Scasciamacchia è un batterista con il quale collaboro già da tempo, mentre Pietro Lussu e Aldo Vigorito sono due perle che portano maturità ed esperienza. Il primo è un pianista pazzesco, il secondo è una “roccia”. Dunque, entrambi, sono due pilastri del gruppo, una formazione che – a breve – entrerà in studio (con ogni probabilità in autunno) per registrare il disco.

Scendendo più approfonditamente nel particolare, dal punto di vista armonico e ritmico, quali sono stati i criteri che ti hanno orientato nella scelta di questi tre jazzisti?

Giovanni Scasciamacchia, come dicevo, lo conosco da anni. Abbiamo suonato un’infinità di volta insieme – e per giunta è presente nel mio album “Bea”. Lui è l’estro, è tutto ciò che non ti aspetti, è il jazz, è colui che mi mette nelle condizioni di suonare nella migliore maniera possibile. Con Aldo Vigorito ho avuto qualche collaborazione in passato. Per me è lo “zio Aldo”, lui rappresenta l’esperienza, la solidità ritmica, il senso dello swing, è il motore del quartetto. Il suo suono è profondo, potente, il suo timing è incredibile. Poi c’è Pietro Lussu, una perfetta sintesi di eleganza, imprevedibilità, genialità. Un pianista che amo particolarmente.

Osservando invece il lato umano, ritieni che sia fondamentale condividere il palco insieme a dei musicisti con i quali hai anche un rapporto di amicizia speciale?

Assolutamente sì, perché a mio parere il rapporto umano è addirittura più importante di quello musicale. I jazzisti statunitensi lo definiscono interplay, ma per me non è soltanto una questione legata alla musica, ma connessa anche alla sfera umana. Per quanto mi riguarda, la musica funziona quando c’è stima e rispetto fra i musicisti. E i jazzisti con i quali collaboro, coloro che ho scelto, sono persone meravigliose con cui ho costruito rapporti stupendi nel corso degli anni.

Sia per “Melodico” con Vince Abbracciante che per “Quarantesimo” con Pietro Lussu, Aldo Vigorito e Giovanni Scasciamacchia, qual è il miglior augurio possibile che senti di fare a te stesso?

I musicisti sono sempre chiamati a trasmettere e a regalare delle sensazioni a coloro che ascoltano. Io sono sempre incantato quando riesco a emozionare il pubblico. Perciò, il mio augurio è quello di poter continuare a donare emozioni alla gente che assiste ai miei concerti, proprio come io stesso mi emoziono quando suono il mio strumento.