Inutile scappare, la forma è quella e spesso anche i suoni lo dicono a voce alta. Siamo nel pop rock dalle sfacciate tinte riflessive, “psichedeliche” in alcuni momenti, di matrici post-rock che significa anche restituire al suono un forte potere narrativo. Lo fanno i campani Zaund di Lucio Auciello, anche colonna portante de L’Airone Dischi, label attentissima al territorio. Con questo disco d’esordio dal titolo “Riflessi” gli Zaund mescolano appunto il pop e i suoni fermi e precisi a derive che potremmo anche noi definire liquide. Ci sono brani quadrati ma anche digressioni che non si poggiano comodamente su ritornelli facili. Forse manca di definizione in questo, forse “Riflessi” è un lavoro che giace troppo in quella inesistente terra di mezzo. Non osa ma potrebbe farlo. Non resta fedele alla linea pop, ma ha sicuramente le carte per vincere in tal senso. Ci fa credere di poter azzardare ma poi rientra all’ovile… un disco che mette appetito ma che ci lascia affamati. E qualcuno dice che sia la giusta formula per tornare a mangiare… ne parliamo proprio con Lucio Auciello.

 

 

Parliamo di produzione. Suoni decisi assai pop in questa definizione. Com’è accaduta la registrazione?

Ho curato in prima persona le registrazioni e i missaggi del nostro album. Il pop è la forma canzone, e la ricerca di una comunicazione musicale diretta e mai autoreferenziale, mentre l’energia è quella del rock. In questo album abbiamo proceduto registrando uno strumento per volta, stratificando appena un po’ il suono generale di alcuni brani (con le tastiere in “Crisalide”, o gli inserti di campionamenti in “Sonno lucido”), e lasciando un suono più rock e diretto in altri (“Due ore”, “Lontano”).

 

Spesso quando parliamo di direzione artistica molti si perdono… “Riflessi” nasce libero da inflessioni? Diretto da qualcuno o con qualcuno?

La direzione artistica è dovuta alla ricerca dell’equilibrio delle nostre diverse sensibilità musicali, ed è stata attuata in modo pressoché spontaneo. Ho curato le riprese e i missaggi nell’ottica di dare concretezza alle idee di tutti e tre, e l’obiettivo è di sviluppare un percorso originale del progetto.

 

 

La scena underground dell’Italia anni ’90. In “Sonno lucido” penso non possa trovare bandiera migliore. È il tempo di questo disco secondo voi?

Sicuramente le radici di questo disco affondano negli ascolti musicali di quegli anni, nel panorama alternativo (sebbene “Tabula Rasa Elettrificata” dei C.S.I., seppur per brevissimo tempo, fu primo in classifica) ma la direzione del progetto, come il nostro sguardo, è ben proiettato in avanti.

 

E’ spesso il basso a segnare la caratteristica dei temi e degli arrangiamenti. Penso a questo brano, penso al singolo, penso a “È così difficile”…

Esatto, molti brani sono nati da un giro di basso, a volte sono così personali e caratterizzanti che ci è venuto naturale costruire il brano attorno ad esso. Poiché la formazione è di soli tre strumenti (più le voci), ognuno di noi ha molto spazio a disposizione.

 

E a proposito di chitarre invece: ho come l’impressione che il parco effetti sia quello ripetuto quasi ovunque. Ha una ragione artistica o solo pochi mezzi a disposizione?

In realtà nell’album sono presenti almeno 5 chitarre, 3 amplificatori, e diversi effetti analogici a pedale, anche se il suono principale è quello che portiamo dal vivo, e con cui miriamo a ottenere una personalità, un suono di gruppo immediatamente riconoscibile: in questo senso un approccio più minimale può senz’altro risultare molto efficace.