TERJE RYPDAL | Conspiracy

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TERJE RYPDAL
Conspiracy
ECM records  2658
2020

Assistiamo ad una sistematica presa di distanza dalla già celebratissima ECM, label “suppostamente” foriera del “più bel suono dopo il silenzio” per decenni, secondo un’opinione generale che è andata invece erodendosi nei tempi più recenti, quasi che i medesimi elementi che ne hanno costituito la persistente attrattiva non potessero reggere il mutamento della coscienza e dell’estetica generale.

Ad un tale carisma contribuiva l’accettazione di una trasversale propaganda, recentemente intessuta di arrischiate asserzioni (se non autentiche intimidazioni culturali) secondo cui “quasi tutto il jazz euro-americano che davvero conta passa per ECM”, ma collezionisti ed estimatori avrebbero dovuto interrogarsi  su quanto davvero la condivisa credulità non abbia contribuito nelle passate decadi all’edificazione dei caratteri di “intoccabile” se non “referenziale” di quanto messo insieme (e si è già passata la boa dei ben oltre 2500 titoli) in un catalogo per lo più accomunato da un jazz estetizzante ed esotericamente alleggerito dal dramma, oltre all’investimento più o meno parallelo sul patrimonio classico e contemporaneo, funzionale al consolidamento dell’etichetta.

Di tutto ciò possiamo considerare incolpevole (e si ritiene virtualmente ignaro) il maturo leone delle corde elettriche di forte spirito fusion, delle cui progressioni ci asterremo dalla disamina, ricordandone in sintesi le prime sortite nei tardi ma già arcaici anni ’60, in cui dopo un incerto tirocinio psych-rock lo vediamo attratto dall’orbita di un giovane Jan Garbarek e conseguentemente entro il vivaio scandinavo dell’innovatore George Russell, quindi prodursi con crescente autorevolezza tra gli aedi della chitarra elettrica mai davvero abdicanti ai propri fondamentali rock, immettendoli con convincenti argomentazioni anche in ambiziose opere neo-sinfoniche.

Recentemente incassato anche un corposo omaggio a più voci (“Sky Music”, del 2017, nel cui parterre si producevano anche Bill Frisell, David Torn e Nels Cline) il già settantenne Terje Rypdal si ripropone dopo un lungo gap dalla ripresa in studio in una nuova prova in quartetto elettroacustico, sul quale chi si fosse provveduto di uno smaliziato diaframma percettivo rileverà come sia presentata da una immagine di copertina caratteristica ma che non spicca entro una ripetitiva serialità grafica, e pure dovrebbe esser garantista della abituale qualità – per come è inteso il golden standard dell’etichetta di Monaco.

Né nella sostanza desta sorprese l’ascolto, che con tipicità di tratto e soluzioni si reinnesta entro la corrente espressiva del Nostro, con modalità auto-affermative quanto in sostanza scevre da apprezzabili novità.

Sempre tonica la voce delle corde elettriche e ancora caratteristico il tratto solistico, imbastito su note estese e sortite taglienti, concorrenti ad un’espressione assertiva e non raramente contemplativa, e così lo scintillante e riflessivo chitarrismo del maturo Rypdal  trova funzionale amalgama con il veterano di elettroniche e sound-engineer  Ståle Storløkken, annettendo uno sperimentato drummer quale Pål Thowsen, che intesse un effervescente ritmo su cui si plasma il tocco non poco weberiano del caldo basso fretless del giovane Endre Hareide Hallre. Ingredienti atti non tanto a rimodellare quanto a rinsaldare il profilo rypdaliano per come ci era progettualmente ed idiomaticamente noto in base ad album costitutivi, tali “Odyssey”, “Waves”o “After the Rain” (magari meno nei casi di elaborati ma assai discussi lavori come “Vossabrygg” o “Crime Scene”).

Spesa energicamente l’ironia del titolo d’apertura As if the Ghost… was Me? con un brano allestito dal quartetto con le più riconoscibili tra le formule di Rypdal, si osserva un’intimistica plaga di ristoro nella rarefatta What was I thinking, giocata tra lunghi pedali chitarristici e rade fluenze di basso.

Grinta dichiaratamente rockeggiante lungo la strutturata, eponima Conspiracy, recuperando ancora spirito “vintage” nella fluente e anticata By his Lonesome (molto abitata dal pastoso basso elettrico), concedendosi poi un languido passaggio di spirito notturno (e “very ECM”) con la setosa Baby Beautiful, e chiudendo il programma con il respiro grave e la contemplazione cosmica della concisa e remota Dawn.

Insomma in contemporanea alle produzioni di più giovani proposte (oltre ad un’uscita prevedibile e un po’ bolsa di John Scofield) ECM gioca la carta autoriale di una delle sue firme più storiche e prestigiose, nonché contributive all’edificazione del nucleare catalogo: se ammettiamo che completato l’ascolto questo ne autorizza un’impressione soddisfacente (ma sarà da destinarvi non tanto di più che una distensiva e nostalgica serata) pur emerge la percezione che alla sua base non vi sia esperito alcun particolare travaglio, quanto piuttosto il chiamare a raccolta grazie a consumato mestiere elementi sintattici e stilemi già collaudati, e qui fissati lungo una sequenza tutto sommato breve, nella tempistica però di un vecchio disco in vinile, formato di cui gli è resa anche l’opzione, così suggellando una ulteriore quanto velleitaria ripresa di tempi andati, quanto virtualmente poco riproponibili.

 

 

Musicisti:

Terje Rypdal, chitarra elettrica
Ståle Storløkken, tastiere
Endre Hareide Hallre, basso fretless, basso Fender
Pål Thowsen, batteria, percussioni

Tracklist:

01. As if the Ghost … was Me!? 5:43
02. What was I thinking 5:36
03. Conspiracy 6:09
04. By his Lonesome 6:54
05. Baby Beautiful 8:00
06. Dawn 2:37

Link:

ECM