OH SEES | Face Stabber

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Oh Sees
Face Stabber
Castle Face Records
2019

Davvero una pugnalata ai timpani il nuovo “Face Stabber” degli Oh Sees, terzo doppio album consecutivo che John Dwyer e soci ci propinano dopo “Orc” (2017) e “Smote Reverser” (2018). Un carosello di registri e modelli sonori al servizio di un immaginario rock strafottente e visionario, duttile e dinamico, ossessionato a fare tendenza con pregiate leghe del passato. Dentro quei ridicoli calzoncini jeans lordi e sdruciti (con cui forse si corica anche a letto) John Dwyer persevera a spiazzarci con intuizioni vocali e strumentali che in queste quattordici tracce rifulgono nei modi più ricercati e inaspettati. Il merito va anche ascritto a una maturità in fase di produzione, scrittura e arrangiamento sempre più audace ed efficace, ispirata certo dalla consapevolezza di poter contare su un manipolo di musicisti altrettanto impeccabili e propositivi, sulla stessa barca del leader da quando costui ha optato per l’abbreviazione della ragione sociale. La formula della doppia batteria resta confermata anche in questo disco, reso più propulsivo, ritmicamente agguerrito e sfaccettato dall’aggiunta di altre percussioni e dal ricorso ad un vasto arsenale strumentale.

 

Vero che sulla carta ottanta minuti e passa di musica potrebbero sembrare un piatto indigesto e impegnativo ma credetemi sulla parola: l’ascolto fila liscio e veloce e alla fine si ha l’impressione di non esserne ancora sazi. Prendete l’iniziale The Daily Heavy. È un brano che ti fa immediatamente rizzare le antenne, che ti si stampa in testa, geniale quanto divertente. Lo squittio schizofrenico di un pupazzetto per cani funge da metronomo al sordo e concitato motorik di basso e batteria. Vapori elettronici, il canto sussurrato di Dwyer e un demente “ba-ba” robotico, chitarra acida che svisa e svaria su effetti wah wah in crescendo fino al termine della corsa. La successiva The Experiment sprigiona un sostenuto groove funky, chitarristicamente acido e melmoso, vagamente Mothers Of Invention nei fraseggi dei sintetizzatori (che quando la foga rallenta sembrano giocare con l’intro di Baba O’ Riley), fino all’epilogo in cui tutto precipita nel pandemonio di un jazz-rock tropicalista. In chiave Frank Zappa anche due ipercinetici strumentali (la title track e S.S. Luker’s Mom), nonché la magistrale Fu Xi, preceduta dall’accattivante motivo thrilling rock di Snickersnee.

I momenti nevralgici di “Face Stabber” sono tuttavia Scutum & Scorpius e Henchlock, due estese jam in perfetto stile anni Settanta che lasciano esplodere a briglia sciolta la fantasia tecnica e improvvisativa del combo losangeleno. Se nei quattordici minuti della prima sgomitano tra loro acid-rock, funky, jazz e scale blues in un affresco sonoro che si abbevera all’iridescente e originale matrice progressive degli Spirit, nei ventuno minuti della seconda si stendono all’orizzonte panorami molto più urban soul e fusion space-rock. Riff, assoli e fraseggi di chitarra ultralisergica si sovrappongono e si mescolano a luminescenti armonie di tastiere, viscerali grumi d’ancia e ficcanti linee di basso, sostenute da un serrato eppur fluido lavoro ritmico-percussivo che innalza e depone l’intera architettura sonora ai piedi di ciclopiche glorie e icone del rock (Doors, Hendrix, Pink Floyd, Hawkwind, Quicksilver e Ultimate Spinach; nel classico giochetto delle influenze l’elenco potrebbe allungarsi fino a comprendere nomi minori e più desueti).

 

Accanto a quest’ottica psichedelica disinibita, epica e monumentale, stanno poi i restanti, e altrettanto interessanti numeri dell’album che, viceversa, ripiegano sul versante più anarcoide, eversivo e parodistico tanto caro alla band: il proiettile punk à la Motörhead di Gholü, l’andatura garage-poptronica di Poisoned Stones, il funereo astrattismo cibernetico di Captain Loosely e il tornado hardcore di Heartworm. Per come suona, ci sarà certamente chi liquiderà l’operazione come reatroattiva e troppo derivativa. Ce ne faremo una ragione. In realtà “Face Stabber” è una faccenda davvero seria; una sentita dedica ad una stagione del rock, ad un modo d’intendere il suono della chitarra e concepire musica, di cui sentiamo ancora forte bisogno. Un disco che rappresenta, senza ombra di dubbio, la quadra perfetta del marchio di fabbrica Oh Sees e che renderà felici e sereni i fan per un altro anno a venire.

 

Voto: 8/10

Genere: Alternative Rock / Psych-Progressive / Acid Rock / Garage Punk

 

 

Musicisti:

John Dwyer – vocals, guitar, electronics, synthesizers, percussion, sax, samples, mellotron, field recordings, effects

Tim Hellman – bass, percussion

Thomas Dolas – organ, synthesizers, mellotron, percussion

Dan Rincon – drums, percussion

Paul Quattrone – drums, percussion

Serena Brigid Dawson – additional vocals

Brad Caulkins – alto sax, tenor sax

Mario Ramirez, Enrique Tena Padilla, Eric Bauer – percussion

 

 

Tracklist:

01. The Daily Heavy

02. The Experimenter

03. Face Stabber

04. Snickersnee

05. Fu Xi

06. Scutum & Scorpius

07. Gholü

08. Poisoned Stones

09. Psy-Ops Dispatch

10. S.S. Luker’s Mom

11. Heartworm

12. Together Tomorrow

13. Captain Loosely

14. Henchlock

 

Links:

Oh Sees

Castle Face Records