MAYA GALATTICI: musica dal futuro…

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Alessandro Antonel e’ il protagonista di questa chiacchierata con noi di SoundContest.com. Insieme a Marco Pagot ha formato un anno fa i Maya Galattici, duo che ha pubblicato il suo disco d’esordio dal titolo Analogic Signals From The Sun. Questa nuova avventura musicale nasce dalle ceneri dei Chinasky, band indipendente italiana, con alle spalle una decennale esperienza live e discografica.


 


Sound Contest: Prima domanda forse un pò banale, ma doverosa: perche’ vi chiamate Maya Galattici?


Alessandro Antonel: Volevamo un nome originale, qualcosa che si distinguesse dal marasma di band con nomi bellissimi, ma che si confondono l’uno con l’altro e non lasciano nessun retrogusto. Poi e’ evocativo. Mi fa venire in mente viaggi intergalattici, messaggi dal futuro, l’origine della vita intelligente sulla terra; e’ spirituale e vintage al contempo, e’ ridicolo e profondo. E’ perfetto.



 


Bene. Come nascono i vostri pezzi?


Alle volte nascono in maniera molto naturale, come se fossero gia’ nell’aria e bastasse tirarli fuori. Possono nascere canticchiati in macchina, sulla tazza del water o in alta montagna. Normalmente nascono gli accordi con la chitarra acustica e la linea vocale; poi pensiamo agli strumenti da metterci, al groove che vogliamo dare con la batteria e il basso ecc.



 


E invece come riuscite a creare l’atmosfera particolare e allo stesso tempo necessaria nei vostri arrangiamenti?


Il disco Analogic Signals From The Sun e’ stato molto pensato e suonato. Abbiamo cercato di andare oltre le forme classiche, accostando strumenti che normalmente non metteresti insieme, accordi che non ci andrebbero e qualcosa di obliquo e penso che in qualche modo ci siamo riusciti. Abbiamo usato orchestrazioni di archi, strumenti vintage, cori, riverberi spaziali e spazzatura galattica varia, cercando di andare oltre noi stessi ed oltre a quello che siamo abituati a fare.



 


Il cd e’ stato registrato in presa diretta?


Il basso e la batteria di solito sono suonati in diretta, poi il resto lo facciamo a pezzi, parte per parte. Il disco lo abbiamo registrato in due, io (Alessandro Antonel, ndr) e Marco Pagot, al Garage Studio di Conegliano (Tv), suonando tutti gli strumenti che ritenevamo necessari; Fender Rhodes, Ms20, Chitarre elettriche, acustiche, percussioni, synths ecc. Ora nei live abbiamo Matteo Benezzi alla batteria, che e’ diventato parte integrante della band. Sicuramente per il prossimo album registreremo delle parti in presa diretta. Questo disco e’ stato un pò il nostro Moon Safari (titolo del primo album degli Air del 1998, ndr) e ci ha insegnato un metodo che e’ diventato il nostro suono.



 


I Maya Galattici sono nati dalle ceneri dei Chinasky, band indipendente italiana, attiva per circa dieci anni tra dischi e live. In cosa pensate di essere maturati rispetto a quell’esperienza?


La maturazione piu’ importante e’ trovare una propria dimensione, un proprio linguaggio.


Accostare cose diverse, osare e fregarsene dei cliche’. Ispirarsi a cose alte e non fermarsi alle prime soluzioni che ti vengono in mente. Essere indipendenti veramente. 



 


Wow…Quali sono le vostre influenze musicali?


Sarebbe necessario troppo spazio per risponderti, ma per sintetizzare ti direi: Motorpsycho, Sonic Youth, Dinosaur Jr, The Flaming Lips, Air, Serge Gainsbourg, The Who, The Beatles, Neil Young, Syd Barrett, Piero Piccioni, The Kinks.



 


Ci sono anche artisti italiani che hanno influenzato il vostro sound?


Sicuramente il gia’ citato Piero Piccioni e poi Piero Umiliani, Massimo Volume, Luigi Tenco e Le Loup Garou per quanto mi riguarda, anche se credo che il nostro sound sia piu’ direttamente collegato con qualcosa che e’ successo e succede al di fuori dei confini nazionali italiani.



 


Bene. ‘Analogic Signals From The Sun’ potrebbe essere definito come un concept album?


Piu’ che un concetto direi che segue un suono, un’atmosfera. E’ una cosa che torna, anche se i brani alla volte sono molto diversi tra di loro. Capitava spesso, durante le sessioni di registrazione, anche se magari eravamo gia’ soddisfatti dei pezzi, che Marco si fermasse e dicesse: