MAX MANFREDI | Il nuovo disco tra leggenda e grande canzone d’autore

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Un titolo bizzarro, direbbe colui che ha un approccio classico alla canzone d’autore. Un titolo trasgressivo invece sarebbe il commento di chi ha ben pochi legami con un certo modo di fare musica. Un titolo assolutamente ricco di poesia e di scenari da inseguire quello scelto e dettato dal genio creativo di Max Manfredi. Il suo nuovo disco si intitola “Dremong”.

 

Contaminazione strumentale ed etnica, come si legge anche dalle note di copertina… cosa l’ha portata o dove l’hai “raccolta”?

Alcuni strumenti li avevamo, altri ce li siamo procurati insieme ai musicisti del disco, ognuno, anche quando ha eseguito delle parti, ha portato la sua sensibilità musicale e poetica… Certi strumenti li abbiamo sostituiti con altri simili. In “Sangue di drago”, ad esempio, che nuota in un clima greco, abbiano sostituito il bouzouki greco con il mondol (specie di mandola) e il laud cubano. Invece abbiamo utilizzato la baglama, tipico strumento del rebetiko, un bouzouki tanto piccolo da poter essere nascosto in una manica, e suonato anche in carcere.

 

Un disco decisamente intenso, ricco di una poetica mai lasciata a buon mercato, non per tutti e questo non deve essere certo una discriminante ma un incentivo alla ricerca, alla curiosità, a quella intraprendente voglia di coltivare se stessi e la propria anima. Max Manfredi torna a farlo con un grande lavoro di poesia a cui concede un contorno musicale ricco di dettagli e sfumature, acustiche e compositive. D’altronde è un mondo a cui siamo stati abituati da tanto tempo ormai… almeno per chi segue Max Manfredi fin dai suoi primi lavori.

 

Hai mai pensato di trasgredire al tuo stile musicale? Se dovessi immaginare un altro modo di fare musica, la tua musica, a che genere penseresti?

Il mio stile musicale è trasgressione continua, ma con passo pigro. Cambiano le suggestioni, i panorami, gli amori musicali. Il piede, e l’occhio che guarda il paesaggio cambiare, rimane il medesimo. Nel futuro prossimo ho in programma un disco con il musicista torinese Giorgio Licalzi. in questo caso mi asterrò dal mettere troppo il naso sulle musiche e gli arrangiamenti, anzi, in certi casi non comporrò neppure la melodia. Un sistema radicalmente diverso da quello usato per Dremong. Le atmosfere musicali di Licalzi, che infesterò con le mie parole e il suono della mia voce, sono molto diverse dalle mie: lui lavora alla scarnificazione, semplificazione armonica, ai pedali, alle ripetizioni di cellule minime. Ambient music, noise, rock jazz rarefatto. Ecco, in questo caso non sarà solo trasgressione, ma sarà come trasgredire in tandem.

 

Il mondo plastificato di oggi conserva e detta leggi antiche di pochi anni. Quasi sempre la musica oggi, quella per le grandi masse, deve seguire dettami di design e di diffusione a cui ormai siamo assuefatti. La grande massa riconosce quelli come modelli di assoluta ufficialità. Diversamente dal passato teniamo stretti altri modelli, altri artisti e sicuramente un’era assolutamente diversa, sincera, pura e ricca di cultura e qualità. Oggi, molti come Max Manfredi, rappresentano di quella musica e di quel mondo una diretta conseguenza da un lato e una continuazione inevitabile dall’altro.

 

Copertina DremongTi senti di raccogliere l’eredità e la responsabilità di tramandare, conservare e promuovere un certo modo di fare musica e cultura in Italia?

Questo non è tempo di eredità e dinastie, ma di casualità e collezionismo. Neppure c’è un incendio da cui salvare i preziosi reperti della tradizione, o le statutte votive dei Lari e dei Penati. Il collezionismo, del tutto obliquo rispetto al tempo, riguarda alcuni oggetti – ma mica tanti – con cui si è scelto di vivere. E’ arbitrario. Sono reliquie da solaio. La cultura non è un concetto immediatamente comprensibile e buono per tutti gli usi, non è un termine feticcio, non è buona in sé, non è di un solo tipo.  Non è certo, oggi, qualcosa cui accodarsi, qualcosa di dato per buono. E’ anzi tentativo, scommessa, violenza difensiva  continua, sgarro. Chi non lo nota, e continua a ragionare secondo cronologie lineari, dinastie o diritti ereditari, non ha la vista acuta. E lo dico a chiare lettere, nella mia canzone “Il negro”. I “padroni antichi”, quelli che dovrebbero ritornare e illudersi di ripristinare l’Ordine, non troveranno altro che vestigia di confusione: radio e navi abbandonate e cinema sfasciati. Tutta quella canzone è sull’impossibilità del diritto astratto, del riconoscere un re plausibile, un Re al suo posto,  e quindi una eredità.

 

Musicisti:

Max Manfredi, voce e chitarra classica
Fabrizio Ugas, chitarra classica, lauda cubano, chitarra acustica, cori
Matteo Nahum, chitarra elettrica, classica, mondo, Glockenspiel
Elisa Montaldo, piano-tastiera, sintetizzatori, guzheng cinese, guqin, lira a otto corde, harpsichord, voce
Daniele pinceti, basso, basso fretless
Marco Frattini, batteria e percussioni
Marco Spiccio, pianoforte
Daniela Piras, flauto e cori
Nino Tubrimec, chitarre elettriche
Federico Bagnasco, contrabbasso
Roberto Piga, violino
Loris Lombardo, handpan, vibrafono, glockenspiel, percussioni
Nives Agostinis, cori

 

Brani:

 

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Max Manfredi