DIEGO LIBRANDO | Il jazz a Napoli, dal dopoguerra agli anni Sessanta

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Diego Librando
Il jazz a Napoli, dal dopoguerra agli anni Sessanta
Guida
2004

Si legge a sufficienza, anche sui libri di scuola, su quanto sia stata prolifica la musica italiana tra seicento ed ottocento.

Sono pieni poi, giornali e riviste, della storia degli eventi degli anni sessanta, di come si verificava in Italia la grande corsa verso il boom economico e sociale e, assieme a tanto altro, esplodeva anche la musica leggera.

 

Sulla prima meta’ del novecento, fino quasi ai primi anni sessanta, la musica italiana e’ stata fondamentalmente rappresentata da un filone melodico, legato a doppio filo con la canzone napoletana, che era nota e considerata a livello nazionale. C’e’ invece un forte vuoto, e poco o nulla si dice e si conosce, di come siano penetrate contaminazioni ed influenze, come quella del grande jazz americano, nell’ambito musicale italiano, ed in particolare di come esse si siano integrate e siano state accolte in una citta’ come Napoli che era, di fatto, in quanto a questioni musicali, caposcuola a livello nazionale.

Proprio questo vuoto viene affrontato ed analizzato da Diego Librando, nel suo libro Il jazz a Napoli, dal dopoguerra agli anni Sessanta, edito da Guida per la collana Identita’ Sonore diretta da Pasquale Scialo’.

Negli anni a cavallo tra la prima guerra mondiale e l’avvento del fascismo, c’era stata in Italia una buona affermazione del tango, favorito dalla forte spinta del successo che stava conseguendo contemporaneamente anche a Parigi, dalla moda crescente dei locali da ballo in cui si esibivano le grandi orchestre nel corso delle loro tournee e dall’emancipazione femminile allo stato embrionale. Assieme al tango si era affacciato molto timidamente qualche altro ritmo latinoamericano. In quegli anni inoltre, a causa di profonde sacche di miseria presenti nella popolazione, si verificavano forti movimenti migratori tra Italia e Sudamerica, Argentina in particolare, che favorirono scambi, anche culturali, non comuni in anni in cui i costumi erano, per ovvi motivi, tutt’altro che globalizzati ed in cui nessuno degli strumenti di comunicazione che oggi siamo abituati a dare per scontato si era ancora affermato.

Vale la pena di ri-delineare gli scenari in cui si svolgono le vicende di cui parliamo, e ricordare quanto poco sarebbe cambiato in Italia tra l’epoca pre-fascista e quella post-fascista: la radio muoveva appena i suoi primi passi, telefono ed automobile erano solo per pochissimi benestanti, si cucinava ancora e si riscaldava, nella maggior parte dei casi, con legna e carbone; l’aereo si andava perfezionando solo per scopi bellici, c’era la luce elettrica soltanto nelle grandi citta’ ma non dovunque.

Con l’avvento del ventennio fascista, mentre in America andava affermandosi il jazz, che penetrava lentamente l’Europa e la Francia in particolare, e si assisteva in tutti i campi a notevoli progressi tecnologici, l’Italia si chiudeva in un marcato isolazionismo nazionalista in cui, tutto quanto avesse origine straniera, era dogmaticamente vietato. Gli intellettuali, gli uomini e le donne appassionati di cultura, sottraevano a fatica quello che potevano ai veti del regime e sotto celate spoglie, i piu’ avanguardisti, mescolavano un pò di jazz nella canzone italiana, e traducevano titoli e testi in italiano per nasconderne l’origine alla censura, mentre il figlio del Duce, Romano Mussolini, grande appassionato di jazz, diverra’ uno dei maggiori conoscitori di blues tra i piu’ illustri jazzisti italiani.

Poi la guerra, e con essa la piu’ nefasta poverta’, attanagliarono anche la cultura, cancellando quasi del tutto l’attenzione per la musica.

Subito dopo la guerra, riacquisita la soddisfazione dei primi bisogni primari, rinacque la curiosita’ – il desiderio forte dopo tante privazioni – per le arti, il cinema e per la musica in particolare.

L’arrivo delle truppe Americane aveva portato con se cose nuove, e proprio da qui Librando, con grande attenzione filologica e con eccellente cura per i particolari, inizia il suo racconto ponendo nuova luce su questioni poco conosciute e frequentate dalla storia meno recente della cultura napoletana e mettendo in primo piano scenari in precedenza trascurati. Fatti che si intersecavano con analoghe vicende su iniziative e movimenti culturali che si sviluppavano tra Milano e Roma, tra Bari e Palermo.

La storia musicale napoletana e’ stata punteggiata di Canzoni e canzonette, diverse delle quali sono state dei veri e propri capolavori, che quindi, giustamente, l’hanno fatta conoscere ed apprezzare in tutto il mondo. Pochi pero’ sanno che a Napoli, dopo la guerra, il CNJ, Circolo Napoletano del Jazz, organizzava concerti e jam-session di eccezione, in cui figuravano i nomi di Louis Armstrong (prima conosciuto come Luigi Bracciaforte!), di Lionel Hampton, di Chet Baker, e che la stampa dell’epoca, troppo spesso, non dava in alcun modo il giusto rilievo a queste manifestazioni, anzi, spesso, le dimenticava del tutto. C’e’ da dire che il jazz era ancora un fenomeno di nicchia, ancora poco praticato se non proprio del tutto sconosciuto, e che i giornalisti tendevano come sempre, allora come ora, ad inseguire la notizia di largo consumo.

Di tutto questo Librando racconta, con una narrazione resa ancor piu’ avvincente dalle significative testimonianze raccolte, con metodo e difficolta’, tra chi allora, di queste vicende, e’ stato protagonista, e dalle rare immagini e della documentazione storica che e’ riuscito a reperire nel corso delle lunghe ricerche a supporto della narrazione. E’ anche molto ben sottolineata l’importanza dei V-disc, i “dischi della Vittoria“, che l’Esercito Americano aveva fatto produrre appositamente per ammorbidire le sofferenze dei propri soldati in terra straniera. Questi dischi ebbero l’effetto collaterale, involontario ed imprevisto, di costituire una piccola rivoluzione culturale, un importante passo in avanti nella diffusione di massa della musica. Una vera miniera di espressioni musicali nuove, concepite ed eseguite in modo diverso da quanto fino allora conosciuto, fu condivisa dai soldati americani con i nostri giovani musicisti, e questo permise loro di ascoltare dal vivo quello che avevano solo sentito raccontare, di approfondire la conoscenza del blues e del jazz, ed ebbe una grandissima influenza su tutta la produzione musicale che ne segui’ a Napoli, Renato Carosone ed Ugo Calise in testa, e piu’ in generale nell’Italia intera.

Il libro, ampiamente corredato da illustrazioni originali dell’epoca, da un’ambia bibliografia  e da interviste a molti personaggi di rilievo, come Renzo Arbore, Antonio Golino, Alfredo Profeta, Gege’ Munari e Mario Schiano, ha conseguito il Premio Indro Montanelli nel 2005 per la sezione giovani.

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