Decisamente un disco laborioso, fumoso, di alcool e di vecchie chincaglierie… siamo dentro il circo di un vecchio artigiano della parola, di un mercante di tessuti antichi, ma anche di un poeta romantico amante di orologi e pendoli strani. Siamo a casa di Ginez, figlio di un certo cantautorato sghembo e fantasioso. Il quartetto si completa ed il Bulbo della Ventola sforna assieme un disco come “Sambuca Sunrise”, lavoro di innesti preziosi, di tromba, archi, hammond e tanto altro. Disco che vira anche verso un pop nostrano nonostante lo spettro di caposselliana maniera resti ahimè troppo evidente e distrarre le menti… ma noi andiamo oltre e questo disco meriterebbe anche una bella release in vinile.

 

 

Parliamo di produzione. Tanto disco sembra, e dico sembra forse lasciandomi influenzare dal modo che ha di suonare, ripreso in presa diretta. Avete realizzato così parte o tutto il disco?

No, il disco non è registrato in presa diretta ma abbiamo cercato di registrarlo esattamente  come lo suoniamo, proprio per rispettare quello che è il nostro impatto dal vivo.

 

Lo chiedo anche perché spessissimo le frasi e gli arrangiamenti solistici si sovrappongono proprio come accade in un live. Ci hai fatto caso?

Ripeto, è proprio una scelta legata al fatto di suonare quello che in realtà siamo in grado di fare. Tutti possono fare una grandissima produzione in studio, la vera capacità è saper riprodurlo dal vivo.

 

La musica di Ginez la sento, anzi la vedo assai dal vivo. Non trovi che un disco sia limitante?

L’idea era proprio quella di fare un disco il più stimolante possibile. Un disco che ci permettesse di esprimere determinate cose in studio e che allo stesso modo potessimo realizzare dal vivo.

 

Apprezzo che tu abbia molto conservato una tua radice. Qualcuno invece potrebbe giudicare male questa mancanza di contaminazione con i linguaggi di oggi. Domanda assai estetica e, se vuoi, superficiale… ma in fondo un musicista, in pubblico, deve far di conto con le mode e il vociare del momento… dunque tu che rispondi?

Rispondo che mi sento molto distaccato da queste cose, non per una sorta di snobismo nei confronti del linguaggio attuale, ma perché è il nostro modo per esprimere quello che proviamo.

 

Curiosità: perché “E qui” non l’avete tirata su di tonalità? Perché lasciare una voce che quasi si perde nel dover restare così bassa quasi sempre? Che poi sembra che in questo momento del disco abbia proprio una pasta diversa…

Anche questa è una sorta di scelta volontaria. Abbiamo deciso di rendere il cantato quasi sussurrato e che la musica fosse la principale protagonista di questo brano. Una specie di esatto contrario di quello che facciamo normalmente.