GIANLUCA PETRELLA | Un trombone dentro e fuori Il Bidone

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Eccezionale solista e condottiero di gruppi esteticamente avanzati e versatili, il virtuoso asso del trombone Gianluca Petrella ha rivisitato con il progetto “Il Bidone” parte del repertorio del grande Nino Rota, applicandovi una chiave di lettura audacemente estrosa e spiazzante.

 

Sono stati diversi negli ultimi anni gli omaggi a Nino Rota. Cosa ha spinto te a riprendere il suo repertorio e da cosa sei rimasto più colpito?

 I motivi sono tanti. In primis, il fatto di avere già un conto aperto con la sua musica. Già da adolescente mi trovai ad arrangiare la sua musica in un gruppo del quale faceva parte anche Antonello Salis. Poi a Bari, dove sono cresciuto anche musicalmente, Rota è un “mito”, essendo stato direttore del Conservatorio per diversi anni. Ho fatto la sua conoscenza purtroppo solo attraverso gli splendidi racconti di mio padre e degli insegnanti che ho avuto e che con lui avevano lavorato. Poi, qualche anno fa, ho ricevuto la proposta di dirigere I-Jazz, che è un consorzio di festival e di organizzatori di eventi.

Ogni anno I-Jazz realizza un progetto nuovo e rappresentativo della sua attività. Così è nata l’idea di lavorare sull’opera di Nino Rota. Dopo una serie di concerti è diventata un’esigenza ineludibile mettere tutto su disco e pertanto ho prodotto personalmente la registrazione. Ora, scaduto il mandato per I-Jazz, porto il giro questo spettacolo ancora con il gruppo che ci ha lavorato all’inizio.

Allora raccontaci de “Il Bidone”.

 In questo lavoro di arrangiamento c’è tutto me stesso. Dare più spazio alla musica originale forse sarebbe stato più semplice, ma a me piace complicarmi la vita… Questo perché, prima che l’ascoltatore, voglio stupire me stesso. Nonostante questo sia uno dei miei lavori meno cerebralmente complicati ho comunque cercato di dare il mio punto di vista alle composizioni di Rota.

Ne Il teatrino delle suore abbiamo improvvisato sulla melodia principale suonata dai violini e dagli archi campionati da Andrea Sartori, che ha gestito tutta la parte elettronica. E’ stata un’improvvisazione completamente libera. Questa è una strada che mi piace seguire spesso, cioè improvvisare su un tema dato. E il tema de Il teatrino delle suore si prestava perfettamente a questa cosa.

In Ballerina Night la presenza di John De Leo è straordinaria. In Italia sono ancora pochi i cantanti uomini che decidono di dedicarsi al jazz. Qui John, grazie alle sue grandi doti, è utilizzato quasi come altro strumento a fiato, dando spazio ai suoi vocalizzi e alle sue improvvisazioni.

Ne La dolce vita, invece, hai elaborato i tre temi in tre suite.

 Sì, è così. La dolce vita è concepita in forma di suite. Tra un brano e l’altro dei ponti improvvisati ci conducono sui nuovi motivi. Questo rientra nel mio modo di arrangiare, comporre e suonare. La musica deve scorrere fluida dall’inizio alla fine, specie quando mi esibisco dal vivo.

Il brano forse più importante per l’organicità del progetto mi sembra La Poupee Automat. Sedici minuti di crescendo ritmico con il supporto fondamentale dell’elettronica.

 Il riff del piano che caratterizza il pezzo mi ha portato a costruire qualcosa di ipnotico, basato su un’idea di ripetitività, qualcosa che ruota su se stesso e favorisce questo crescendo dinamico, molto lungo e arioso, che parte da zero e che alla fine esplode. La durata del brano è funzionale a favorire una crescita graduale dell’intensità. Che poi il brano duri così tanto è una pura necessità, dovuta principalmente al mio desiderio di trovare la giusta intensità.

Per finire c’è Lla Rì Lli Rà, dove mi sembra forte l’influenza di Bill Laswell …

 Lla Rì Lli Rà è un bellissimo brano da “Le notti di Cabiria”. Un bel mood in tonalità minore, arrangiato in modo lento e con molte influenze di musica latina. C’è dietro un enorme lavoro di missaggio, per mettere in evidenza ora questo ora quello strumento. E lo stesso lavoro è stato fatto sulla voce.

In generale su tutti i brani del disco c’è stato un lavoro enorme. A partire dall’ascolto di tutta la produzione di Rota, che non è solo quella felliniana più conosciuta, ma si estende in fiumi, torrenti e rivoli di opere liriche, composizioni per archi e orchestra e anche tanta avanguardia.

Ti parlo di qualcosa come quattordici ora di ascolto. E ho cercato di far emergere, anche nella scelta del repertorio, gli aspetti meno conosciuti del maestro.

Roma, per esempio, è uno dei brani più belli e apparentemente semplici che abbia mai ascoltato. Un pezzo ricco di pathos, anche questo lontano dal Rota di comune dominio pubblico.

Di quale altro musicista ti piacerebbe esplorare l’opera?

 In linea di massima non sono un grande amante dei tributi. In generale sono attratto da personaggi particolari, come per esempio Sun Ra, che omaggio con la Cosmic Band, un musicista poco studiato. Nulla in confronto ai vari Miles, Coltrane, Ornette e via dicendo. Dovesse ricapitare, sceglierei sempre un personaggio poco conosciuto, che non mi impegni in lunghe tournée e mi stimoli musicalmente.

Parlando di tournée, il progetto su Nino Rota ha appeal anche all’estero?

 Certamente! “Il Bidone” è un progetto che si potrebbe muovere anche in Europa, però è complicato far girare i gruppi all’estero. E’ complicato a livello organizzativo e burocratico. Bisogna trovare un subagente in zona. Per questo motivo gli italiani che girano di più all’estero sono sempre i più noti e famosi, come Rava, Bollani, Fresu e Pieranunzi. Ma può capitare che si aprano pure per gli altri delle porte in modo diretto o indiretto.