GIANFRANCO RICCELLI | L’evoluzione delle radici

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Bellissima prova d’autore a cura di un veterano della canzone d’autore, quella meno rumorosa, quella che purtroppo non arriva ad essere celebrata dai media nazionali. Eppure, questo “Indietro non ci torno” di Gianfranco Riccelli in altri tempi avrebbe scalato le classifiche. Ci troviamo di fronte ad una canzone che attinge a piene mani dai mood di Pierangelo Bertoli e da quel certo gusto per la parola e per la melodia. Inconfondibile anche la sua timbrica vocale che ci riporta a quei dischi. E non a caso nel lavoro è presente il figlio, Alberto Bertoli, e due brani in cui Riccelli mette in musica testi inediti di Pierangelo Bertoli e Claudio Lolli. Un bellissimo ritorno alle origini perché suona con i suoi storici Arangara, ma con un fiero sguardo al futuro che verrà da cantautore impegnato verso se stesso e verso la propria scrittura.

 

 

 

“Indietro non ci torno”. Un riferimento alla tradizione popolare che hai sviluppato con gli Arangara o con il collettivo ECU?

Indietro non ci torno è un riferimento sicuramente ad Arangara, il gruppo che ho creato nel 2005. L’esperienza ECU è stata molto intensa ma brevissima.

 

Della canzone d’autore italiana, qual è la vera musa ispiratrice di Gianfranco Riccelli?

Non mi sento di dare la ‘colpa’ delle mie canzoni a qualche musa in particolare… Sarebbe ingeneroso da parte mia verso quelli che non verrebbero citati. Il tutto comunque parte dall’ascolto dei cantastorie nostrani quali Rosa Balestreri, Ignazio Buttitta, Otello Profazio, Enzo Del Re. Da lì, passando per Dylan, Denver, fino ad arrivare ai ‘nostri’. Posso solo affermare, come ha asserito qualcun altro prima di me, che con De Andrè a molti sono spuntate le orecchie.

 

Musicalmente che disco pensi di aver realizzato? Mode, tendenze, direzioni ostinate e contrarie…

Penso di aver realizzato il disco che mi piaceva. Scusa il mio narcisismo ma nello scrivere penso soprattutto a qualcosa che possa darmi emozione e piacere. In una parola affinché una canzone funzioni (è una visione strettamente personale) occorre che possa essere cantata e suonata vicino ad un falò su una spiaggia e che dia soddisfazione all’autore. In molti casi l’alchimia funziona. Come diceva qualcun altro non ho nemmeno io nessuna certezza… spero di riuscire a dare qualche emozione.

 

E parlando d’America, che cosa hai portato via da questa terra?

America? Sicuramente il modo di ‘ascoltare’ la chitarra e farla suonare secondo canoni non proprio europei. L’album, difatti, è volutamente ‘chitarristico’ e la chitarra ne è parte integrante. Non sono riuscito ad immaginare quei testi se non musicati attraverso questo strumento. Sicuramente il condizionamento c’è stato…

 

Musicare un testo di un altro, quanto ti allontana dal tuo ruolo di cantautore?

Musicare il testo di un altro non mi allontana… anzi! Musicare Lolli, Bertoli, Bassignano, Manfredi ecc. è stato per me un cercare le intenzioni psicologiche dell’autore. Capire il recondito significato del testo non è stato assolutamente facile e da qui è partita la sfida. Alla fine della composizione ti possso dire che i testi di questi grandi autori, intimamente, li sento un po’ anche miei (scusa l’ardire).

 

Nei giovani artisti c’è sempre questa eterna ricerca dell’originalità, ma soprattutto delle culture estere. Secondo te, è giusto? Invece?

La musica è l’unico linguaggio universale. Anche io (e penso un po’ tutti) sono contaminato dall’ascolto di musiche provenienti da altre culture (rammento che la mia origine è quella della ricerca sulla musica popolare). Certamente quando si parla di ‘culture musicali’ mi riferisco al modo di suonare e all’utilizzo di strumentazione differente e tempi musicali variegati. Non penso certo al pop inglese (sigh! Ormai l’ho detto).