LELLO SAVONARDO | Bit Generation

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Si intitola “Bit Generation” il nuovo disco di Lello Savonardo. Uno dei maggiori esperti in materia di nuove comunicazioni, ma anche artista e cantautore. Coniuga le due cose in una chiave sociale e filosofica, seguendo stilemi di amore e di fantasia per una forma canzone tipicamente pop italiana condita da ardite scelte elettroniche e mood che danzano su diversi piani musicali. Il video di lancio è la title track del disco. Accanto a questo altre 12 sue composizioni e nomi di pregio a firmare le collaborazioni. Tra tutte spicca Edoardo Bennato, ma anche nomi illustri del mondo dei new media come Derrick de Kerckhove, autore dei contributi testuali che si deve star attenti a non disperdere da un ascolto superficiale. Di sicuro un disco da ascoltare con attenzione. Più della musica il testo: l’intervista a Lello Savonardo.

 

Libri, seminari, radio e poi un disco. Pianeti diversi per la comunicazione. Secondo lei alla fine quali di questi si è dimostrato vincente?

Il disco “Bit Generation” è un progetto culturale e cross-mediale che apre un ponte tra generazioni e che comprende diversi ambiti di approfondimento. Innanzitutto, il libro “Bit Generation. Culture giovanili, creatività e social media” (Franco Angeli, 2013) che contiene i risultati di una ricerca dell’Osservatorio Giovani dell’Università di Napoli Federico II sul rapporto tra universo giovanile e tecnologie digitali, con riflessioni teoriche e affondi tematici. I processi creativi della Bit Generation sono stati oggetto di seminari con Lorenzo Jovanotti, Roy Paci ed altri artisti che con me, all’Università di Napoli, si sono confrontati con gli studenti. I linguaggi giovanili sono al centro delle trasmissioni del programma dall’omonimo titolo di Radio Lab F2 dell’Ateneo Federico II, di cui sono coordinatore artistico. Il concept album “Bit Generation” rappresenta un’opera collettiva, realizzata con altri artisti come Edoardo Bennato, che firma il testo de “L’Equilibrista” e suona l’armonica in due brani, ma anche con Derrick de Kerckhove, guru della comunicazione, che interviene recitando dei versi nel brano “Always on”. Un disco di canzoni o di “canzonette”, come direbbe Edoardo, che si esprime attraverso le emozioni, cercando anche di far riflettere, oltre che divertire. Ogni ambito ha una sua specificità, ma tutti sono parte di un progetto culturale work in progress.

 

Melodie e arrangiamenti. Da cosa ha preso spunto e quali le ispirazioni più interessanti?

Suono il pianoforte da quando avevo 4 anni, a 13 ho iniziato ad ascoltare i cantautori italiani, come Edoardo Bennato, che è sempre stato per me un punto di riferimento, ed il rock internazionale degli anni settanta, ma anche formazioni come i Police, gli U2, i Red Hot, o artisti come David Bowie, Beck, Prince o Sting. Non ho mai smesso di ascoltare il jazz, il blues e poi le nuove tendenze, dalla new wave alle posse, dal rock anni Ottanta al rap dei poeti urbani della Bit Generation. La mia musica si nutre di questo background culturale e della contaminazione tra i diversi generi musicali. Poi ogni ospite che ha partecipato alla realizzazione del disco ha portato il suo specifico contributo rendendo l’album un’opera collettiva e condivisa. Non mancano citazioni esplicite di Gaber, Battisti o dei Police.

 

 

Un disco che parla di quanto la comunicazione sia divenuta globale. Paradossalmente, quanto è difficile comunicare la propria musica?

Il “villaggio globale” che McLuhan aveva teorizzato, con l’avvento dei i mass media, esplode nell’era digitale in cui le nuove tecnologie mettono profondamente in crisi le tradizionali dimensioni del tempo e dello spazio, abbattendo confini geografici e limiti temporali. L’accesso alle produzioni culturali, ai saperi e alla musica attraverso la rete dovrebbe favorisce nuove forme di diffusione e condivisione musicale, fuori dalle normali logiche del mercato e della promozione discografica. In parte questo accade, ma la rete rappresenta la realtà, con i suoi meccanismi e le sue logiche di potere economico e culturale, anche se la personalizzazione del consumo e l’interattività favoriscono nuove modalità di promozione delle produzioni creative. In ogni caso è difficile comunicare la propria musica, ma con il digitale è più semplice riuscire a diffondere in autonomia le proprie canzoni e i propri contenuti artistici e culturali.

 

Come mai due versioni – di cui una Dub – del singolo “Bit Generation”?

La versione dub di “Bit Generation” del dj Danilo Vigorito, che apre il disco, mi piaceva molto e ho deciso di utilizzarla come primo singolo, ma non intendevo sacrificare la versione originale reggae che secondo me ha una sua forza comunicativa autonoma. Quindi ho deciso di collocare quest’ultima in chiusura dell’album, prima della gosth track, e di tenerle entrambe nel disco. Sono due tracce che testimoniano due mondi sonori diversi, anche se riconducibili ad una stessa matrice, che appartengono alla cultura di questo album.

 

E alla fine mi perdoni la domanda banale: si stava meglio quando si stava peggio?

Viviamo nel flusso, in un costante mutamento, in continuo divenire. Non si stava meglio o peggio, siamo sempre in transito. In viaggio permanente.