Il producer e batterista Dan Cavalca ampiamente celebrato anche in sedi internazionali per i suoi lavori precedenti, oggi “cambia faccia” e firma: si fa chiamare Ride The Noise, e quello che ci presenta è un lavoro che sembra avere la forma di un cerchio o di un fluido informe e mutevole: “Waves of the Mind” si basa (mi si perdoni la sintesi) su samples improvvisati nel dialogo tra batteria e synth, scegliendo suoni che tanto chiedono a stilemi passati. Su questi la ragione e la forma dell’arte nel generare soluzioni loops e tanto altro. Come nel video del singolo “Memories Unveiled”: in circolo, inventando e componendo lungo la via, un magma di pensiero analogico e digitale dentro cui perdersi…

 

 

COVER RIDE THE NOISEParliamo di produzione: le improvvisazioni hanno una matrice unica o hai fatto ricerca nel mentre?

Sì, tutte le produzioni condividono volutamente la stessa matrice. Ho voluto che l’EP raccontasse una storia, creando un filo conduttore tra i cinque brani attraverso una coerenza timbrica e sonora. Questa scelta è stata intenzionale: ogni traccia si lega alle altre per atmosfera e suono, contribuendo a costruire un’identità compatta e riconoscibile al progetto.

E sopra queste improvvisazioni come hai costruito tutto il resto?

Una volta conclusa la fase di improvvisazione – che solitamente comprende già la batteria e il synth principale – passo ad arricchire il brano con elementi secondari. Lo faccio in due modi: o continuo a seguire il flusso improvvisativo in tempo reale, usando la loop station come strumento per mantenere viva quell’energia, registrando nuove parti sopra quelle appena create; oppure, quando voglio concentrarmi su dettagli più precisi, mi sposto nella sala mix. Lì lavoro direttamente al computer, spesso dedicandomi al sound design per costruire suoni specifici. È in quella fase che inizia anche il lavoro di mixaggio vero e proprio.

Ci sono strumenti che hai prediletto rispetto ad altri? Come li hai scelti?

Anche questo aspetto nasce dal desiderio di mantenere autentico il mio approccio da musicista live. In quest’ottica, la batteria rimane sempre la protagonista, affiancata però da un synth principale, che ho costruito partendo da uno strumento virtuale e modellato attraverso una catena di effetti creata in Ableton Live.

Accanto a questi elementi stabili, ci sono poi quelli che chiamo ‘suoni ospiti’: componenti variabili che cambiano da brano a brano, come il basso, parti secondarie di synth, percussioni o frammenti vocali.

I computer come entrano dentro il disco?

Il computer è un elemento essenziale, sia nelle mie produzioni in studio che nei live. Affido a lui una grande parte della struttura e dell’esecuzione, soprattutto perché utilizzo – e adoro utilizzare – Ableton Live. Sono un vero appassionato di questo software: le sue potenzialità sono praticamente infinite, sia in termini di creazione sonora che di gestione delle sequenze e dei campioni audio.

Detto questo, il computer per me ha un ruolo principalmente tecnico e strutturale. Dal punto di vista creativo, invece, sfrutto Ableton per costruire effetti personalizzati – come reverberi e delay – che diventano strumenti fondamentali per dare profondità e spazio alle mie tracce. Sono questi dispositivi che contribuiscono a creare l’atmosfera immersiva che cerco in ogni brano.

Senza tecnologia tutto questo che forma avrebbe? Sarebbe possibile?

Sicuramente la mia musica assumerebbe un volto completamente diverso in una versione acustica, ma non mi spaventerebbe affatto affrontare questa sfida. Anzi, ci ho già giocato un po’, creando alcune versioni pianoforte dei miei pezzi. Mi piacerebbe molto l’idea di una performance live con pianoforte e batteria.

Ci sono però due elementi che mi mancherebbero: gli effetti audio, come delay e riverberi, che espandono il suono nello spazio e contribuiscono molto all’atmosfera; e la loop station, che mi permette di improvvisare dal vivo anche da solo, mantenendo viva l’energia del momento.