PINK FLOYD AT POMPEII – MCMLXXII: passaporto per l’eternità

PINK FLOYD
Pink Floyd At Pompeii - MCMLXXII
Columbia / Sony Music
2025

Metti che ti perdi il passaporto e poi, in una situazione a dir poco epifanica, ne consegni uno ai Pink Floyd valido per l’eternità. Fu così che nell’ottobre del 1971 Roger Waters, David Gilmour, Richard Wright e Nick Mason capitarono all’improvviso nel cuore di un’antichità tragica e monumentale: l’Anfiteatro di Pompei. La città, pietrificata dall’eruzione del Vesuvio, divenne per pochi giorni (esattamente dal 4 al 7 di quel mese) un santuario sonoro senza pubblico, testimone di una delle imprese artistiche più radicali del rock psichedelico. Quello che sarebbe diventato “Pink Floyd: Live At Pompeii” (il film) nacque infatti da un’intuizione visionaria del regista anglo-francese Adrian Maben, il quale, in viaggio a Napoli con la fidanzata, perse il passaporto all’interno del sito archeologico e, tornando a cercarlo, immaginò la possibilità di filmare una performance musicale tra le rovine.

 

Convinto della potenza simbolica del progetto, Maben contattò immediatamente il management dei Pink Floyd, trovando terreno fertile: la band, reduce dal tour di Atom Heart Mother e già alle prese con le prime stesure di The Dark Side Of The Moon, cercava nuovi modi di rappresentare la propria musica. Tuttavia, la realizzazione fu tutt’altro che semplice. La band trasportò l’intera attrezzatura da Londra a Pompei, un viaggio che richiese tre giorni. Una volta giunti sul posto però emerse un problema inaspettato: l’anfiteatro non disponeva di un’adeguata fornitura elettrica per alimentare l’attrezzatura di registrazione.

La soluzione fu quella di stendere un cavo di circa 750 metri dal Santuario della Beata Vergine all’anfiteatro, permettendo così di utilizzare un generatore diesel, che forniva alimentazione a strumentazione all’avanguardia per l’epoca, tra cui il VCS3 synth, organi Farfisa, e la pedalboard custom di Gilmour. Le riprese si svolsero in totale assenza di pubblico, trasformando il live in un rituale sonoro dal precipitato trascendentale, quasi metafisico.

Come molti sanno, il mito del “Live At Pompeii” è cresciuto tra gli ultra appassionati non tanto per l’aspetto filmico e visivo (l’unico sempre disponibile in modo ufficiale) quanto per il suo contraltare esclusivamente audio. Nel corso di oltre cinquant’anni le uniche copie fisiche in vinile (e in misura altrettanto numerosa in formato CD) sono sempre state versioni pirata e bootleg clandestini di variabile qualità. Un passo in avanti rispetto a quest’ultimo fattore è stato possibile solo nel 2016, grazie alla pubblicazione del mega box The Early Years 1965-1972. Lì il Santo Graal in questione andava cercato tra le memorabilia in formato DVD/Blu-Ray del volume 6, intitolato 1972: Obfusc/ation.

Ovviamente ci fu subito chi ne approfittò per trasferire su vinile quel materiale e in riferimento a ciò una moltitudine di fan non ha dubbi nel premiare il doppio album della francese Verne (in circolazione dal 2017) come il risultato migliore di tale operazione. Però, sebbene sia lodevole dal punto di vista della resa audio, il Verne in questione devia clamorosamente da quello strettamente filologico, facendola fuori dal vaso con l’aggiunta finale di una Atom Heart Mother (With Brass Ensemble And Choir) di ben ventisette minuti mai eseguita dal gruppo in quel di Pompei.

Finalmente disponibile in veste ufficiale, Pink Floyd At Pompeii – MCMLXXII è già entrato nella storia dei pochi eventi discografici degni d’essere ricordati nel 2025. La versione pubblicata in doppio vinile, remixata in alta fedeltà da Steven Wilson, rivela nuovi strati acustici che riportano alla luce dettagli sommersi e profondità mai udite. Questo nuovo ascolto rafforza la tesi che “Live At Pompeii” non sia soltanto un episodio documentario, ma un punto di snodo, un vero e proprio spartiacque nell’evoluzione creativa dei Pink Floyd.

Prima di Pompei, la band aveva attraversato l’estetica lisergica in dischi fondanti come The Piper At The Gates Of Dawn (1967) e A Saucerful Of Secrets (1968), ancora legati all’eredità e al genio di Syd Barrett. Con Ummagumma (1969) e Atom Heart Mother (1970), i Pink Floyd sperimentarono la forma lunga, le suite orchestrali e i paesaggi sonori astratti, ma è proprio a Pompei che queste istanze trovano una sintesi definitiva, in una dimensione espressiva sospesa tra passato e futuro.

Successivamente, il gruppo imboccherà la via concettuale di The Dark Side Of The Moon (1973), dove la forma canzone si coniuga con la struttura narrativa e simbolica del concept album, elaborata in maniera eccelsamente coesa e condivisa in Wish You Were Here (1975) per poi arrivare ai modi più provocatori ma anche internamente disgreganti di Animals (1977) e The Wall (1979). In questo senso, “Live At Pompeii” è il punto di equilibrio tra il caos sperimentale e l’ordine narrativo: un laboratorio sonoro che ha forgiato l’estetica pinkfloydiana più matura. Almeno in quel singolare momento della carriera della band.

Ma passiamo alla musica. Sia il doppio vinile che il doppio CD di “Pink Floyd At Pompeii – MCMLXXII” contengono, nella nuova sequenza e resa sonora, dieci tracce essenziali, tutte degne d’essere citate e commentate.

Pompeii Intro – Un preludio memorabile e di grande effetto. Un battito cardiaco che aumenta progressivamente di volume, accompagnato da ronzanti spot di sintetizzatore simili ai giri di una macchina aliena proveniente da chissà dove. Tre minuti di distopia “ambient” drammaticamente sospesa tra passato e futuro. Nonostante manchino attestazioni esplicite, esistono numerosi indizi convergenti per ipotizzare che questo straordinario esperimento atmosferico abbia fatto da matrice embrionale per il “collage music” di Speak to Me, celebre intro di “The Dark Side Of The Moon. Però laddove Speak to Me ricorre a manipolazioni in studio per creare spazialità artificiale, questa introduzione, al contrario, sfrutta l’acustica e i rimbombi dell’anfiteatro come strumento. Il battito del cuore, infatti, non è un campione, ma il riprocessamento di colpi atmosferici e distorsioni lente del VCS 3 unite al suono di piatti e gong, con andamento fluttuante.

Echoes, Part I – La suite che apre il live è una costruzione ipnotica di oltre 12 minuti, introdotta da un richiamo sonar del piano di Wright. Il remix di Wilson esalta le risonanze cavernose e i dettagli degli effetti tape-loop. Gilmour e Waters intrecciano voci eteree in un crescendo che è al tempo stesso marino e cosmico, un viaggio nel subconscio collettivo.

Careful With That Axe, Eugene – Qui si rivela la dimensione teatrale del gruppo. Il respiro iniziale di Waters è amplificato, il suo urlo emerge come squarcio psichico. I piatti di Mason e le dinamiche progressive creano una tensione simile a un film horror in chiave sonora.

A Saucerful Of Secrets – Divisa in quattro movimenti, la traccia è il manifesto della ricerca sonora pre-“Dark Side”. Il climax percussivo e l’intervento dell’organo restituiscono un senso di liturgia elettronica. Wilson mantiene intatta la crudezza timbrica, aggiungendo chiarezza nei piani sonori.

One Of These Days – L’attacco del basso trattato con il delay è più incisivo che mai. La voce distorta che declama «One of these days I’m going to cut you into little pieces» si staglia su un paesaggio di chitarre feroci. Il remix evidenzia la potenza e la versatilità ritmica di Mason, ben messa in risalto da Wilson in tutto il repertorio del live.

Set The Controls For The Heart Of The Sun – In questa versione, la stratificazione dei gong e dei sintetizzatori è più definita. La voce sussurrata di Waters è un mantra che si dissolve nel riverbero del luogo. Qui la psichedelia diventa sommamente astrale e rituale.

Mademoiselle Nobs – Questo brano è una versione strumentale di Seamus da “Meddle”, con l’aggiunta dei guaiti e degli ululati di Nobs, una femmina di levriero russo qui chiamata a sostituire il quadrupede interprete originale. È un momento leggero e giocoso, un divertissement blues che mostra il lato più informale della band.

Echoes, Part II – Il ritorno del tema iniziale chiude il cerchio in forma ciclica. La coda di chitarra e tastiere, rimasterizzata con cura, accentua l’effetto di sospensione temporale.

Careful With That Axe, Eugene (Alternate Take) – Il brano appartiene al gruppo di quelli registrati in studio e ripresi “artificialmente” dal vivo presso l’Europasonor di Parigi, dal 13 al 20 dicembre 1971. Sebbene possa apparire quasi identico rispetto alla versione originale, qui le parti di basso di Waters sembrano maggiormente in risalto e in primo piano. Anche il suo agghiacciante “urlo” pare più forte e liberatorio, irrompendo leggermente più al centro dello sviluppo del pezzo.

A Saucerful Of Secrets (Unedited) – A detta dei testimoni questo capolavoro space-acid rock fu quello che i Pink Floyd suonarono e riprovarono di più fra le tre composizioni principali scelte per essere riprese a Pompei in ottobre. Le performance furono registrate in sezioni, successivamente montate insieme per creare le versioni finali. Dopo ogni take, i membri del gruppo ascoltavano le registrazioni tramite cuffie per approvarle o decidere se ripeterle. Waters, in particolare era ossessionato dall’esecuzione e dalla resa finale di questo brano. L’inclusione di questa versione inedita si fa apprezzare per la parte introduttiva più elaborata ed estesa (almeno due minuti e mezzo in più) che precede i roboanti stacchi percussivi di Mason.

Nel complesso, l’edizione curata da Steven Wilson conferma la sua attitudine filologica e insieme innovativa: non una semplice pulizia del suono, ma un atto di restituzione critica. Un lavoro di disseppellimento e restauro degno d’essere paragonato a quello svolto dai tanti archeologi che dopo secoli hanno riportato alla luce i gloriosi resti di Pompei. “Pink Floyd At Pompeii – MCMLXXII” diventa così non solo un documento storico, ma un’opera che torna viva, proiettata nell’eternità con la consapevolezza e la spinta del passato. Resta infine da sottolineare come il disco abbia in poco tempo mietuto successi di vendita e classifica ovunque nel mondo, raggiungendo addirittura il primo posto in Italia e nel Regno Unito. Segno che il cuore di questo live pulsa ancora forte, nonostante tutto il tempo trascorso e il suo silenzio intorno, proprio come la terra sotto quelle surreali rovine all’ombra del Vesuvio.

Esperienza e supporto d’ascolto: 2LP Black Standard Vinyl, Worldwide EU Edition 19802876231

Voto: 9/10
Genere: Psychedelic / Progressive / Space Acid Rock

Musicisti:

Roger Waters – bass guitar, rhythm guitar on “Mademoiselle Nobs”, gong, cymbals, screams and spoken words on “Careful With That Axe, Eugene”, lead vocals on “Set The Controls For The Heart Of The Sun”, additional piano on “Echoes”
David Gilmour – lead guitar, slide guitar, harmonica on “Mademoiselle Nobs”, lead vocals on “Echoes”, vocals on “Careful With That Axe, Eugene” and “A Saucerful Of Secrets”, additional vocals on “Set The Controls For The Heart Of The Sun”
Richard Wright – Hammond organ, Farfisa organ, grand piano, lead vocals on “Echoes”, VCS 3 on “Pompeii Intro”
Nick Mason – drums, percussion, vocal phrase on “One of These Days”

Tracklist:

01. Pompeii Intro
02. Echoes – Part 1
03. Careful With That Axe, Eugene
04. A Saucerful Of Secrets
05. One Of These Days
06. Set The Controls For The Heart Of The Sun
07. Mademoiselle Nobs
08. Echoes – Part 2
09. Careful With That Axe, Eugene (Alternate Take)
10. A Saucerful Of Secrets (Unedited)