Ascoltate “Orione” a favore di luce. La lirica qui un poco paga il prezzo di una penna non affilata alla canzone d’autore. Ma non perde colpi e non si fa trovare impreparata. Certo, avrebbe potuto sfoggiare potenze decisamente più eleganti, ma non sfigura di fronte ad un suono e ad una forma che invece è il vero cuore di questo primo disco di Matteo Nativo: la chitarra acustica fingerpicking studiata e sviluppata nello stile in America in anni di vita. La vita descrive e racconta e poi, senza accorgersene, diviene canzone in questo lavoro uscito per la RadiciMusic che omaggia per be due volte anche Tom Waits (e non mi stupisce): traduzioni in italiano, una scritta da lui e l’altra da Silvia Conti. Siamo a Firenze… e questo disco, in italiano, ha documenti stranieri.

 

MATTEO NATIVO - COVERParliamo di produzione: se non sbaglio sento anche un Hammond, vero? Ma comunque tutto il comparto strumenti parla la lingua del folk e del blues (e affini)… come li hai scelti?

L’Hammond, come del resto il piano Fender Rhodes, presenti in “Orione”, sono strumenti tipici nella musica americana, che si tratti di Blues, Folk o Jazz il colore è quello. Fin da ragazzo sono stato un grande appassionato di musica Blues e Folk. Nel 1996 sono partito per studiare composizione e arrangiamento al Berklee College of Music di Boston, con il primo vero ingaggio in un gruppo funk composto da studenti del college ho iniziato una vita “on the road” sempre in viaggio in camper attraverso gli stati del New England. Questa esperienza mi ha permesso di esplorare i meandri della scena folk-blues della provincia americana, partecipando a Jam session, suonando ovunque, caffè, bar, ristoranti e l’incontro con musicisti di ogni tipo.

 

Ci sono anche scritture decisamente più pop ma nel complesso la matrice è quella. Ispirazioni?

Fantasma è la traccia con il colore più vicino al Pop di tutto il disco, un momento “fuoripista” nato spontaneamente quando l’amico e cantautore Michele Mingrone mi ha proposto il testo. Avevo questo giro di accordi e una melodia che mi giravano in testa da tempo, il testo di Michele ha subito trovato il suo posto nella metrica, così è nata la canzone. Il Folk ed il Country americano non hanno un preciso confine, molte canzoni sono scritte per essere cantate coralmente con il pubblico, immediate nella melodia, possiamo dire vicine all’idea del Pop.

In tutto il disco, come anche nella foto di copertina, sembra esserci una nebbia leggera che colora tutto. È solo una mia sensazione?

Si è vero. La musica di “Orione” richiama delle atmosfere ben precise, quelle appunto del Folk, del Blues e di un certo stile di Country. Sono generi che esprimono spesso stati d’animo malinconici, a tratti piovigginosi, di mattine nebbiose, il quotidiano vissuto, esperienze e riflessioni. È un disco che parla di me, del mio vissuto, di come si vada avanti nonostante la vita ci porti sfide difficili che però possono essere occasioni di riflessione e ripartenza.

Hai pensato di fare registrazioni o master a Nashville o altri luoghi simbolo?

Ci ho pensato spesso, mi piacerebbe poter registrare in luoghi simbolo della musica Blues e Country, come Nashville, chissà magari per il prossimo disco.

Perché ben due omaggi a Tom Waits?

Ho scoperto Tom Waits durante la mia permanenza negli USA. Fu una rivelazione e mi innamorai immediatamente della sua musica, con le sue parole visionarie, un suono che ti stringe l’anima, una voce che scava nel profondo, mi riportò immediatamente ai libri letti in adolescenza degli scrittori della Beat generation, Jack Kerouac, Allen Ginsberg, William Borroughs… Mi ha inspirato moltissimo, così “Orione” è stata l’occasione perfetta per rendergli omaggio.