MASSIVE ATTACK | Figli del Vesuvio tra liturgia, denuncia e appartenenza

Napoli ha sempre avuto un talento particolare nel riconoscere ciò che è autentico, nel vibrare di fronte a ciò che scava sotto la superficie. Non sorprende allora che il ritorno dei Massive Attack all’Arena Flegrea, lo scorso 22 giugno, si sia trasformato in qualcosa di più di un semplice concerto. È stata un’esperienza collettiva, densa di contenuti e visioni, in cui suono, immagini e contesto si sono fusi in una narrazione potente e stratificata. Il duo di Bristol, affiancato da una formazione vocale e strumentale d’altissimo livello, ha offerto al pubblico napoletano uno spettacolo immersivo, coerente con la propria poetica: non una festa, ma una liturgia laica e visionaria.

L’apertura della serata è stata affidata a Dadà, artista che ha saputo conquistarsi l’attenzione con carisma e identità, pur inserita in un contesto non semplice (ma il suo talento è tale che non ne risentirà). Poi l’ingresso in scena di Robert “3D” Del Naja e Grant “Daddy G” Marshall ha segnato un cambio di intensità: i Massive Attack non chiedono attenzione, la impongono. Fin dalle prime battute, il flusso sonoro ha avvolto la platea con un incedere cupo e ipnotico, in cui le trame ritmiche si sono intrecciate a una componente visiva fortemente politica e disturbante. Le proiezioni – curate con una regia chirurgica – hanno proposto una sequenza incalzante di dati, immagini di conflitti, manipolazioni mediatiche, simboli di potere e propaganda. Una scelta estetica radicale, che ha trasformato il palco in una zona critica dove la musica si è fatta veicolo di una denuncia urgente.

Massive Attack, Noisy Naples Fest 25, Arena Flegrea, Napoli (ph. Titti Fabozzi)

Il repertorio ha alternato brani ormai classici – Angel, Safe From Harm, Unfinished Sympathy, Teardrop – a scelte meno scontate, come le rivisitazioni di Song to the Siren e Rockwrok. Ogni canzone è apparsa non come un numero a sé, ma come un tassello coerente di un affresco sonoro dal forte impatto emotivo. In questo, il contributo dei cantanti è stato essenziale: Horace Andy ha confermato il suo status di colonna sonora vivente con una voce vibrante e inconfondibile; Deborah Miller ha restituito profondità e pathos a brani che rischierebbero altrimenti di scivolare nell’autocitazione; mentre Elizabeth “Liz” Fraser, con la sua interpretazione eterea di Teardrop, ha regalato uno dei momenti più intensi della serata, sospendendo per un attimo il respiro dell’intera arena.

Ma ciò che ha reso unica questa tappa napoletana è stato il dialogo emotivo tra la band e la città. Del Naja, che con Napoli ha un legame non solo musicale ma personale e familiare, ha reso esplicito il senso di appartenenza, tra cori da stadio, riferimenti calcistici e simboli carichi di significato locale, come l’inno “Primo agosto, pioveva” reinterpretato in chiave elettronica. Il maxi-schermo popolato dal “quadro” con scugnizzi e simboli della squadra – quello apparso allo stadio Maradona in occasione della vittoria scudetto, per intenderci – e quel “tifare per Napoli” di cui Del Naja ha parlato in maniera viscerale.

 

“E’ bello essere di nuovo qui, è bello essere tifoso del Napoli… Siamo tutti figli del Vesuvio”.

 

È stato un momento di fusione tra l’identità politica della band e quella culturale del pubblico, in cui le distanze si sono annullate.

L’architettura sonora dello spettacolo è solida, fondata su strutture ritmiche martellanti e una tensione costante che ha impedito ogni forma di rilassamento. L’effetto è volutamente perturbante: non si è usciti dal concerto con l’euforia del divertimento, ma con il peso di riflessioni difficili da eludere. Il messaggio è (più che mai) chiaro: non c’è più tempo per l’intrattenimento fine a se stesso, la musica deve risuonare anche come gesto etico e politico.

Massive Attack, Noisy Naples Fest 25, Arena Flegrea, Napoli (ph. Titti Fabozzi)

I Massive Attack, lontani tanto dalla ricerca di un facile consenso quanto dalla tentazione nostalgica, hanno offerto un’esperienza totalizzante, capace di mettere in discussione, emozionare, spingere al confronto. Un concerto che si è fatto atto civile, atto d’amore, atto d’urgenza. E in tempi come questi, non è poco.

Il fotoracconto di Titti Fabozzi:

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