È un disco importante anche e soprattutto dal punto di vista sociale ed ecco che arriva puntuale il patrocinio di Amnesty International Italia. Sono voci sommerse, sono storie negate fin dentro il cuore dei diritti più ovvi per noi che viviamo dentro le ovatte del benessere. Sono battaglie che molte donne affrontano ogni giorno sulla propria pelle… e qui il consiglio di corredare questo lungo ascolto con la scoperta delle storie (più o meno conosciute) che hanno più o meno direttamente ispirato queste scritture. Le cantautrici Giana Guaiana e Bruna Perraro danno vita ad un progetto inedito denominato Curù. Questo esordio, che in fondo è lo sviluppo di uno spettacolo sul tema che già ha avuto modo di andare in scena nel recente passato, si intitola “Corale – voci sommerse, storie negate” uscito per la RadiciMusic Records. Ha quel sapore del colore a pastello, ha la semplicità di un incanto e il suono di una favola. Eppure sono storie negate…
Il suono di questo disco: così analogico, così “antico” per certi versi. Avete voluto evitare le contaminazioni futuristiche?
Abbiamo affidato gli arrangiamenti a Francesco Prestigiacomo, produttore artistico e arrangiatore che collabora anche col gruppo “Tinturia”. Inizialmente aveva applicato una visione pop e new age con l’utilizzo di elettronica, però in seguito, avendo deciso di dare una diversa importanza al testo delle canzoni, ha preferito seguire una produzione con strumenti reali e acustici, più affine ai nostri arrangiamenti originari. Dal punto di vista tecnico si è voluto dare a tutta la produzione una sonorità più naturale possibile, perciò questo suono “antico” che antico non è, è una scelta stilistica. Grazie a questa scelta è riuscito mirabilmente a compenetrarsi nei brani e quindi nelle nostre rispettive individualità, distinte per studi, aree geografiche di provenienza, gusti, ma così simili per intenzioni e attitudini.
Come l’avete prodotto? Avete percorso strade particolari, avete ricercato un modo o un suono particolare?
Per quanto riguarda la nostra fase compositiva, abbiamo assecondato i testi dando libero sfogo alla creatività. Le canzoni sono maturate ciascuna con delle peculiarità, che poi si sono rivelate punti di forza. Una piccola frase musicale è diventata un motivo trainante, un leitmotiv come in “Voce”. Talvolta le musiche sono state radicalmente cambiate. È il caso di Desaparecida il cui impianto melodico e ritmico originario ricordava il tipico andamento della musica andina, ma il risultato era piuttosto cupo; abbiamo invece intrapreso un’altra strada che rendesse più leggero il tema trattato, determinando questa sorta di ossimoro musicale.
Come si finisce per cadere dentro le pieghe di storie così ai margini? Cosa vi ha portato da loro?
Quando una storia ti colpisce, improvvisamente non è più una storia ai margini ma passa in primo piano. Grazie al contributo di chi ne ha scritto, parlato, di chi ha scattato una foto, una storia viaggia, soprattutto attraverso quel grande labirinto informativo che è ormai diventato il web. La storia della cantante Nûdem Durak è all’origine di tutto il progetto. Si trova in carcere da 10 anni e quasi altrettanti ne deve passare imprigionata in Turchia, dove i curdi sono perseguitati e censurati. È inaccettabile che la tengano in carcere, come hanno dichiarato Noam Chomsky, Peter Gabriel, Geena Davis insieme a moltissimi altri artisti, intellettuali, politici, e anche noi lo cantiamo. Quando Nudem è stata arrestata, stava registrando un suo disco. In carcere le hanno rotto la chitarra e le impediscono di cantare, pena l’isolamento. Ora ha un problema grave di tiroide e non le permettono di uscire per essere curata in modo adeguato. Il suo canto è “libero e indomato” e deve viaggiare. Riguardo le altre tematiche, ad ispirarle sono stati libri (“Diari dal carcere” di Sepideh Gholian, “Pappagalli verdi” di Gino Strada), favole di potere, riflessioni sulla natura con la quale viviamo a stretto contatto. Abbiamo intercettato queste storie, o loro hanno intercettato noi e abbiamo risposto al richiamo. A modo nostro cerchiamo di amplificarle. In realtà sono storie importantissime, sono tasselli di un puzzle che non vediamo perché siamo perennemente distratti. Eppure sono vicine a noi più di quanto possiamo immaginare. Inoltre il confine tra il rispetto dei diritti e l’abuso può essere oltrepassato in un attimo.
E il vostro suono, tornando alla produzione, in che modo pensiate possa raccontare tutto questo? Come a dire: avete scelto dei suoni tipici della cultura di quei luoghi o dei luoghi delle protagoniste delle tante vicende?
Abbiamo scelto di fare precedere Donna Chiama Libertà dalla voce di Nûdem che canta una strofa dell’antico canto d’amore curdo Herekola mira. Per il resto, no, non c’è rigore filologico nella scelta dei suoni. Rispecchiando la tematica dei testi, siamo andati a percorrere quelle regioni del mondo, soprattutto America centrale e latina, che trattano queste tematiche e dove la canzone di protesta è molto attuale, seguendone liberamente alcune caratteristiche stilistiche.
Un progetto come opera prima… resterà unica o magari siete già a lavoro per nuove idee?
Nuove idee, ispirazioni, canzoni e la voglia di creare insieme, anche in modalità differente, sì già ne abbiamo ma ci vorrà il giusto tempo.