La band bolognese firma un disco dove la finzione gotica diventa specchio emotivo. Sebastian, il protagonista, è un vampiro che non vuole smettere di provare sentimenti. I The Amnesia raccontano la mostruosità dal lato umano, in un album pieno di pathos, memoria e riflessioni senza tempo.
“16.01” rompe la narrazione gotica per toccare un tema profondamente intimo. Perché inserirla in questo album?
“16.01” è una canzone molto importante per me, ho voluta inserirla all’interno di questo disco perché anche se non fa parte della narrazione volevo rendere omaggio a una persona a me molto cara, uno dei miei due fratelli che non ho mai avuto modo di conoscere. Ricordo che quando lo scoprì fu come uno shock per me e la prima cosa che feci è stata scrivere questa canzone e dire tutto ciò che volevo di getto. E’ come se dopo tutto il viaggio della storia si arrivasse all’epilogo, con in sottofondo questa canzone, e vorrei che più persone possibili ascoltassero la sua storia in modo tale che la sua memoria non sia mai dimenticata.
Avete scelto di raccontare la ‘mostruosità’ da un punto di vista umano. Che riflessioni volevate stimolare?
Non volevamo fosse la classica storia piena di cliché dal punto di vista del “mostro”, ma bensì visti da un punto di vista umano attorno a un mondo gotico e vampiresco. Tutto il disco è visto con gli occhi di un vampiro ma che dentro è umano come noi, provando emozioni e sentimenti, cosi da entrare ancora di più nella storia e nelle situazioni che si creavano così che ognuno potesse rivedersi.
Il vostro album sembra un racconto più che una semplice raccolta di canzoni. Vi sentite più narratori o musicisti?
Quando si fanno album di questo tipo con una narrazione per me è importante essere musicista quanto narratore. Le parole compensano la musica e la musica da sostegno e dinamicità alle parole. Mi piace tantissimo stare ore e ore a fare ricerche per entrare ancora di più nei temi che voglio raccontare e dare un esperienza al 100 per 100 a chi l’ascolta. Voglio che chi ascolti questo disco si senta veramente come risucchiato per quei 40/50 minuti di disco in Transilvania e che lui stesso sia il protagonista della storia.
Qual è il brano che più vi ha cambiato mentre lo scrivevate?
Ogni brano è importante per noi ma ricordo con molto piacere quando ho registrato le prime demo di “Scars” e “Lady V”. Originariamente “Scars” non doveva far parte del disco, ce n’era un’ altra che poi è stata accantonata e sostituita con “Scars” che l’ho aggiunta e proposta all’ultimo in accordo con gli altri ragazzi della band e quella ci ha dato un bello scossone, anche a livello di numeri è molto apprezzata ed è così importante per noi.
Com’è stato confrontarsi con un team di produzione per un lavoro così complesso e strutturato?
È stato molto bello, abbiamo lavorato insieme alla label Too Loud Records nonché con il nostro amico e produttore Riccardo Daga ed è stata un esperienza bellissima. Ciò ha dato consigli e modi per migliorare ciò che già avevamo e ha fatto una produzione fantastica. Siamo tornati in studio qualche mese fa per registrare il secondo disco e siamo stra soddisfatti e felici per ciò che abbiamo fatto e non vediamo l’ora che possiate sentirlo tutti, questo è solo l’inizio.
Se doveste sintetizzare il cuore dell’album in un solo concetto, quale sarebbe?
È una domanda molto particolare, penso che il modo migliore per descriverlo sia diretto e umano. È un viaggio attraverso un sacco di emozioni e concetti, la nostra storia.